[01/06/2011] News

Grecia, la dicotomia fra Finanza e Futuro

La questione Greca arriva ai mass media attraverso le manifestazioni di piazza e le decisioni delle principali organizzazioni finanziarie come il FMI e la BCE. La politica si nasconde dietro queste istituzioni come se le regole che le gestiscano fossero un verbo divino e non un'elaborazione umana che può essere modificata.

Continuando a guardare le cose da questa prospettiva non è possibile vedere alcuna soluzione al problema greco che non sia la bancarotta o il ritorno alla dracma. In ogni caso molte infrastrutture greche saranno messe in vendita per onorare i prestiti ricevuti.

Ma come si può derubricare la vendita d'infrastrutture nazionali ad un problema finanziario?

Le infrastrutture di un paese sono i suoi "beni comuni" e appartengono alla comunità di quel paese. Sono non solo degli asset, ma anche parte del tessuto connettivo della società. Il tipo di relazione che hanno con gli abitanti di quelle comunità è uno specchio dei legami sociali che regolano la vita nel paese.

Possiamo realmente pensare di essere ancora europei con una Grecia che ha le infrastrutture in mano alla finanza speculativa internazionale o alle industrie cinesi (quelli che con più probabilità hanno i fondi necessari all'acquisto)? O forse possiamo dire che stiamo avvicinando l'Europa al modello americano quando già sappiamo che questo è in profonda crisi ed ha contribuito a produrre la crisi globale che stiamo attraversando nel mondo?

Già il fatto che abbiamo acuito la crisi nel mondo occidentale ci dovrebbe far riflettere sul fatto che forse il modello da seguire non è quello ultraliberista americano e forse dovremo guardare in modo più sofisticato al tipo di capitalismo di stato messo in pratica nei paesi emergenti.

Tanto per cominciare le economie avanzate lo hanno sperimentato in varie forme durante gli anni '50 e '60 del secolo scorso. Ancora oggi il Pentagono resta uno dei più importanti datori di lavoro statunitensi in termini diretti e ancor più indiretti.

In Italia abbiamo inventato nel dopoguerra le partecipazioni statali, che hanno precorso le public private partnership di oggi, evitandone gli aspetti frequentemente speculativi.

Enti come IRI, EFIM, ENI hanno permesso la modernizzazione del paese con autostrade, telecomunicazioni, cantieri, industria pesante e leggera, alta tecnologia, produzione e distribuzione energia, ecc..

È vero che col tempo la corruzione e l'inefficienza hanno messo concretamente in discussione il modello, ma erano altre condizioni politiche (spesso senza reale ricambio) e questi due mali affliggono anche le realtà private che avrebbero dovuto sconfiggerli.

E nel terzo millennio queste infrastrutture sono l'equivalente dei boschi e dei campi del medioevo: sono i nostri beni comuni. I beni comuni fanno parte della nostra identità di Europei, sono parte delle nostre radici.

L'idea di avviare un'altra ondata di distruzione "creativa" con un altro giro di enclosures (oggi dette privatizzazioni), cozza contro il dato empirico che un quarto di secolo di privatizzazioni hanno funzionato solo in parte e spesso a costi insostenibili nel lungo periodo per le collettività.

Se guardiamo alla Grecia da questa prospettiva, allora, la situazione appare diversa. Se queste infrastrutture sono di interesse da parte della finanza allora perché non interessarci "noi", noi concittadini europei, al loro acquisto e alla loro gestione.

Potremo immaginare una European Asset Holding, gestita con una governance agile, responsabile e trasparente, capace di valorizzare e preservare gli asset dei paesi in difficoltà, trasformando i crediti dei paesi dell'Eurozona (e solo di quelli) in azioni di questa gruppo pubblico europeo.

In questo modo lo sguardo si rivolge al futuro dei giovani che manifestano nelle piazze e si ricostruisce un legame sociale che rischia di essere definitivamente polverizzato dalla finanza.

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