[16/05/2011] News toscana

La crisi della concertazione regionale

Si ha un bel proporre, nel PIT e nel PRS, l'idea di un distretto unico della Toscana che, da un punto di vista economico, forse potrebbe anche avere un senso se processi storici, sociali, civili ed economici avessero prodotto "istituzioni" (nel senso becattiniano e sociologico del termine) e relazioni in grado di integrare la dimensione politica e istituzionale con quelle sociale, ambientale ed economica oltreché geografica. In realtà da qualche hanno stiamo assistendo a processi centrifughi in una società locale che invecchia, una dimensione locale/territoriale sottoposta a tensioni in cui predomina la rendita, una involuzione della istituzione politica in senso localistico e a breve termine, la scomparsa della grande industria che, non avendo mai avuto, o molto poco, configurazione fordiste, aveva garantito una tenuta territoriale e civile nonostante i danni prodotti all'ambiente.

Infine la caduta del patto tra capitale e lavoro, istituzioni e welfare, mentre quello tra generazioni ancora regge ma in negativo (i vecchi che con le pensioni sostengono i giovani).

Fino a quando?

Alcune realtà locali in realtà sono rimaste marginali all'area centrale (sono soprattutto aree interne al nord e al sud della regione) mentre la costa non costituisce un reale continuum sociale oltre che geografico, sono territori "appoggiati" l'uno sull'altro, come direbbe Benigni, con scarso retroterra politico ed economico.

La cosiddetta area metropolitana fiorentina e la piana verso il mare sono in realtà solo un continuum informe di aree urbane che interrompono e dirompono il tessuto ambientale orografico e fluviale con tutte le conseguenze del caso. Firenze pensa a sé in una miope e ridicola ricerca di una grandeur ormai incastonata nel lontano passato; sempre meno realtà locali si reggono su un tessuto economico-sociale con al centro l'industria manifatturiera.

In ultima analisi, stante il mantenersi per lungo tempo del caos sistemico e dell'incertezza globale,

occorrerebbe prima di tutto integrare politiche e governance, potenziare la partecipazione civile e autonomi organismi di controllo.

Servirebbe abbandonare la concertazione neocorporativa superata dai fatti, eliminare il potere delle lobby e concentrare tutta l'attenzione sulle vere competenze locale: il lavoro, l'istruzione e l'ambiente. Esse sì, fattore di qualità e di crescita sociale e della ricchezza, dando, da queste dimensioni, orientamenti ai vari settori di attività.

Questo porta a riconsiderare risultati e limiti di 15 anni di concertazione, dal 1996 ad oggi. Nelle tre legislature precedenti, al di là di innegabili risultati, il "chi rappresenta chi" ha condizionato negativamente l'andamento della concertazione e la sua efficacia.

Fino a determinare la continua mancata cogenza tra discussione e azioni. A differenza della vulgata corrente tra gli stakeholder il problema non era e non è l'eccesso di discussione, ma la mancata conclusione delle mediazioni possibili in impegni reciproci da parte dei vari soggetti. Sempre e solo si concludeva (e si conclude) la concertazione con la destinazione delle risorse pubbliche.

Non serviva e non serve, perciò, meno discussione, anzi. Semmai più discussione, ma su obiettivi precisi e impegni mirati e cogenti.

Alle inedite domande poste dalla crisi sistemica occorrono risposte altrettanto inedite. Capitale e interesse pubblico dovranno integrarsi in forme originali, in una economia mista di mercato e di società civile di cui in Toscana sono riconoscibili già molti elementi.

A volerli vedere.

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