[16/05/2011] News

Donne e vongole (e rivoluzione) in Tunisia

La Fao vuole valorizzare il ruolo femminile nella pesca a piedi delle vongole

Ci vogliono 48 ore perché  le "palourde", le  vongole raccolte sulla costa di Skhira, vicino a Sfax, nel golfo di Gabès, 300 km a sud di Tunisi, vengano vendute a Roma, Parigi o Madrid. Ma alle "pescatrici tunisine a piedi" rimane ben poco di questa durissima raccolta: le vongole vengono pagate 3 dinari tunisini al kg, circa 1 euro, il rivenditore italiano o francese le fa pagare 10 o 15 volte di più. Per la maggior parte delle donne rurali che vivono sulle coste del Golfo di  Gabès, la raccolta a piedi delle vongole è il loro principale mezzo di sussistenza.

Il golfo di Gabès a sud della Tunisia, è una ricca zona di pesca. I governatorati di Sfax e Gabès sono le aree più produttive, dove una buona parte della popolazione locale vive di pesca costiera. Le zone umide del suo litorale sono conosciute per i loro giacimenti di "clovisses" e "couteaux", molluschi bivalvi della famiglia delle vongole, per le quali la domanda straniera è in costante crescita.

Negli ultimi 5 anni le donne pescatrici hanno raccolto 500 tonnellate di vongole, per un valore di 1,9 milioni di dinari tunisini (circa un milione di euro), che rappresentano circa l'1% della produzione tunisina della pesca. Il 98% delle vongole viene dal sud del Paese.

Yvette Diei Ouadi, esperta Fao per l'industria dei prodotti della pesca, sta lavorando con il nuovo governo tunisino ad un processo partecipativo per stabilire una strategia di rafforzamento del ruolo delle donne nella filiera delle vongole, puntando ad ottimizzare i loro guadagni ed a rendere sostenibile la pesca, in particolare aprendo la strada ad altre azioni di sviluppo nella nuova Tunisia democratica. Il progetto di cooperazione tecnica Tunisia/Fao si basa su tre punti principali: «La formazione alle buone tecniche di raccolta e manutenzione delle "palourdes", l'assistenza alle donne per renderle autonome, il miglioramento delle condizioni di lavoro». Il suo obiettivo principale è quello di migliorare i mezzi di sussistenza delle famiglie più povere e la sicurezza alimentare delle popolazioni vulnerabili costiere del litorale mediterraneo tunisino, «per una produzione razionale ed un utilizzo responsabile delle risorse alieutiche nelle zone umide (Convenzione di Ramsar sulle zone umide, 1971)».

La Diei Ouadi  sottolinea che «Effettuata in maniera responsabile, con una ripartizione giusta ed equa dei guadagni lungo la catena di valore, lo sfruttamento delle vongole potrebbe costituire un'eccellente opportunità di lavoro a vantaggio di una parte diseredata della popolazione, così come un apporto in valuta non disprezzabile per il Paese».

Ma le cose per ora non stanno proprio così. Saliha, une pescatrice di vongole tunisina, spiega che «La pesca a piedi delle vongole è un'attività penosa. Ogni giorno percorriamo dei lunghi tragitti nella bassa marea, con una postura molto scomoda, a schiena curva sotto un sole di piombo e i piedi affondati fino ai ginocchi nel fango marino ghiacciato». Una sua compagna  Agla, sottolinea che «Lo sbarco della nostra raccolta per la vendita diretta al porto viene fatta a cielo aperto, senza riparo per proteggere le donne contro eventuali intemperie durante le transazioni con degli intermediari poco rispettosi dei nostri sforzi».

L'esperta Fao spiega che «L'operazione di raccolta delle vongole in Tunisia è un'attività artigianale che occupa 70 giorni all'anno una popolazione femminile di pescatrici a piedi, in maggioranza rurali, precarie e marginali. In diversi gradi, questi gruppi di pescatrici sono esposte ad un insieme di fattori che predispongono o accentuano la loro vulnerabilità alla povertà».

Tra le cause che rendono l'attività delle pescatrici molto problematica ci sono l'analfabetismo, la chiusura periodica delle zone di produzione per ragioni sanitarie, il sovrasfruttamento degli stock dei bivalvi, l'assenza di ogni forma di organizzazione e di formazione delle donne, il mercato che le sfrutta. 

Nel nuovo contesto che sta emergendo dopo la rivoluzione dei gelsomini tunisina, con lo stato-regime che non controlla più tutte le attività, nella speranza che termini lo scarico di rifiuti e liquami che provoca continui blocchi della raccolta di molluschi, la Fao pensa che nuove regole amministrative e un'organizzazione della raccolta possano creare una nuova dinamica economica intorno a questa attività, per questo nelle zone di produzione sono stati creati dei Groupements de développement et d'exploitation de la Palourde (Gdp).

Ilaria Sisto, esperta in problematiche di genere della Fao spiega che «Convinte della necessità di organizzarsi tra donne per migliorare le loro condizioni di lavoro, far riconoscere il loro ruolo in quanto produttrici a monte della filiera ed il loro contributo nella formazione del reddito familiare, la maggioranza delle donne approva l'idea di unirsi all'interno di una collettività. C'è bisogno di un'organizzazione istituzionale locale che possa permettere di valorizzare lo sfruttamento di queste risorse, ma soprattutto di assicurarne la sostenibilità ed una redistribuzione più equa dei benefici tra uomini e donne.. Questa organizzazione deve facilitare la partecipazione delle donne a dei mercati rurali del lavoro flessibili, efficienti ed equi. Questo comportamento ha degli effetti positivi sul benessere, ma anche sulla formazione del capitale umano e sulla crescita economica».

Probabilmente il successo (e la laicità) della rivoluzione dei gelsomini, mentre continuano le proteste e spunta il fantasma di  Al Qaeda, passa anche dall'indipendenza delle donne pescatrici e il loro faticoso cammino alla ricerca di vongole potrebbe diventare uno dei tanti lavori equi e sostenibili che potrebbero trattenere i tunisini in patria, facendo lavori non più sottopagati per riempire i nostri piatti al ristorante. Un po' più di giustizia e meno sfruttamento, molto probabilmente avrebbe come risultato molti meno migranti disperati che attraversano il Mediterraneo.

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