[10/05/2011] News toscana

Dall'Irpet una conferma: va ripensato il modello della gestione del territorio

La presentazione del rapporto Irpet "Strumenti di governo del territorio: la pianificazione di livello comunale. Contribuito al monitoraggio del PIT" è illuminante. La LRT 1/2005 è stata disapplicata o applicata in modo del tutto parziale, con interpretazione a soggetto. Le previsioni dei piani sono state ancorate ai fabbisogni edilizi e non postposte alla individuazione della quantità e qualità delle risorse disponibili, alla loro utilizzabilità conservandone la capacità di rigenerazione. i tempi di formazione degli strumenti di pianificazione territoriale sono lunghi e il 74% di questo tempo si spende nell'acquisizione e sistematizzazione delle informazioni, la dotazione infrastrutturale viene prevista in modo disgiunto dal sistema insediativo.

L'Irpet conclude: bisogna semplificare. Quantomeno certifica uno stallo se non si vuole adombrare il fallimento, l'inefficacia di 10 anni di riforme legislative e di gestione del territorio.
Ancora si certifica il fallimento di quella complessa costruzione che era il sistema informativo regionale articolato per province e che i comuni hanno sempre poco tollerato perché leggevano la cosa come un controllo sulla loro piena titolarità nel governo del territorio (e purtroppo si teme che talvolta si sia trattata di arbitrarietà).

Insomma già altre volte si è affermato che è necessario un ripensamento del modello toscano, che bisogna riallocare le competenza in modo chiaro e senza sovrapposizioni, che non si può pensare che i comuni siano abilitati a fare quel che vogliono e che il PTCP e il PIT siano bei discorsi e niente più.

Anche perché come dimostra la discussione sul parco della piana (cioè l'aeroporto di Firenze) se si instilla per anni l'idea di una sostanziale autonomia e autoreferenzialità poi è difficile trovare soluzioni a problemi che sempre più, nella piana come altrove, non sono confinabili nel perimetro di ogni singolo comune.

Sospettare che si sia scientemente coltivata una destrutturazione è certamente troppo, ma sostenere che non sono state  assolutamente valutate quale conseguenze poteva avere il modello, appare invece del tutto congruo. D'altra parte è stato evidente che la Toscana è stata aggredita dagli interessi immobiliari, che i meccanismi degli accordi di pianificazione ben sono serviti alla concretizzazione di questi interessi penalizzando al contempo la titolarità ed il rigore della pianificazione pubblica, tanto più che per evitare problemi di certificazione della sostenibilità degli interventi, l'embrionalità e la confusione dei sistemi conoscitivi, cioè l'indisponibilità di dati certificati, si è risolto in un altro punto a favore di quegli interessi.

Se poi si pensa che già le strutture pubbliche della pianificazione sono state indebolite, che gli uffici tecnici come gli altri uffici andranno ancor più in sofferenza a fronte della sciagurata politica di blocco della spesa per il personale per cui si potrà assumere una unità di personale ogni cinque pensionati, appare ancor più coerente e indispensabile invocare una svolta. Per questo, se c'è la volontà di cambiare, si ritiene che la riforma debba partire da una capillare conoscenza delle cose , dai territori, dal confronto con tecnici e amministratori.

Dall'abbandono delle ipocrisie tipiche della politica che non hanno il coraggio di asserire che i piccoli comuni purtroppo nella situazione data non hanno possibilità di sopravvivere, di esistere, che le unioni volontarie vanno bene, ma che se non si fanno presto ci sarà la mannaia per decreto. Tenuto conto che anche una svolta politica nazionale probabilmente potrebbe produrre solo tagli al bilancio meno deficienti della pratica attuale del taglio lineare su questa o quella voce di bilancio che è stata ed è una vera offesa alla autonomia degli enti locali, perché se il bilancio è realmente in pareggio, non può essere il governo centrale a decidere di spendere per avere un ufficio tecnico efficiente o dare incarichi professionali esterni, o fare qualcosa di ancora diverso.

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