[17/10/2007] Energia

Petrolio vicino ai 90 dollari. E´ l´ora delle rinnovabili?

LIVORNO. Il barile di petrolio ha raggiunto ieri un nuovo massimo storico: 87,97 $. E gli operatori già scommettono sui 90 $ a barile. Diverse le opinioni sulle cause di questa nuova impennata: c’è chi la attribuisce a questioni geopolitiche (leggi le tensioni militari tra l´esercito turco e i militanti curdi in Iraq), chi ad un eccesso di acquisti soprattutto da parte degli Stati Uniti e di molti Paesi, chi alla debolezza del dollaro e c’è chi invece si ritiene convinto che dietro quest´accelerazione dei prezzi vi siano i fondi speculativi. Un fatto è comunque appurato: l’offerta di petrolio non riesce a soddisfare la crescente domanda e le prospettive future (niente affatto ottimistiche) non favoriscono certo la riduzione del prezzo.

Un aumento atteso quindi, e c’è chi addirittura pronosticava che il prezzo del petrolio potesse raggiungere i 90 $ al barile non ad ottobre, ma addirittura ad aprile. Aduc, il sindacato dei consumatori, aveva calcolato le possibili ricadute per le famiglie, soltanto per il settore relativo al prezzo della benzina, calcolando un aumento di spesa pari a 234 € (rispetto all’anno precedente). Cifra considerevole che andrebbe sommata agli altri aggravi derivanti dall’aumento delle bollette e dai beni di largo consumo, ad oggi trasportati in gran parte su gomma e quindi suscettibili di aumento.

La domanda che si pone è allora cosa succederà quando l´aumento della domanda di combustibile per il riscaldamento si assocerà all’aumento della domanda di carburante per autotrazione? Dato che l’inverno è alle porte. Anche fosse un inverno mite come quello passato. Se lo chiede anche Scaroni, presidente di Eni, che ha appena firmato con la Lybian national oil corporation un accordo strategico che prevede il rinnovo di tutte le concessioni con nuove scadenze, (2042 per il petrolio e 2047 per il gas); l’estensione delle aree esplorative; l’aumento delle quantità di gas per l´Italia. Che quindi potrà trarre vantaggi dall’aumento del prezzo del greggio.

E le energie rinnovabili, potranno avere un vantaggio da questa situazione? E l’aumento dell’efficienza e del risparmio?
Ne abbiamo parlato con Massimo Serafini, della segreteria nazionale di Legambiente e direttore di Aprile.

Una situazione questa del petrolio a quasi 90 dollari al barile, che porterà immediati svantaggi sui consumatori, in particolare sulle fasce più deboli della popolazione, ma potrebbe avere un effetto positivo riguardo a risparmio, efficienza ed energie rinnovabili. Che ne pensa?
«Intanto bisogna dire che l’aumento del barile era ampiamente annunciato perché ormai stiamo vivendo una fase storica in cui la domanda di greggio è molto superiore rispetto all’offerta, anche per effetto dell’ingresso nel mercato della Cina e dell’India. E che c’è stata una imprevidenza da parte di chi ha continuato a insistere su un modello energetico basato sulle fonti fossili, pensando di poter scaricare sui consumi e sulla popolazione i maggiori costi per mantenere inalterati i profitti. In questo la situazione dell’Italia è emblematica. Non è autosufficiente per le fonti fossili e continua a non sfruttare le fonti che avrebbe invece in grande quantità: vento, sole e in parte biomasse. E con una classe politica che ha continuato a coprire le scelte disastrose del management di Eni ed Enel che il massimo della fantasia che sono riusciti a mettere in campo è stata la diversificazione dei paesi dai quali prendere il metano e quindi avvallare la scelta dei rigassificatori».

Tornando alla domanda iniziale, quali saranno gli effetti?
«Senza dubbio ci sarà un aggravio dei costi per i consumatori e soprattutto per le fasce più deboli, che dovranno accollarsi anche i maggiori costi per le multe che dovremo pagare per gli sforamenti rispetto agli obiettivi di Kyoto. Però è vero che potrebbe essere letta come un opportunità per optare per la decisione di cambiare pagina: e quindi rendere economicamente vantaggiosa la scelta a favore delle vere fonti rinnovabili e di aumentare in maniera davvero tangibile l’efficienza di tutto il sistema, dalla produzione all’uso finale. Con un prezzo del greggio stabile sopra gli 80 $ a barile è evidente che l’accusa che viene fatta ai sostenitori delle rinnovabili che costavano troppo non sta davvero più in piedi».

Ma non potrebbe accadere che l’emergenza dovuta all’aggravio dei costi sulle fasce deboli della popolazione potrebbe allungare i tempi della fase di transizione e quindi portare ad uso più massiccio del metano?
«Certo, dato che l’attuale management che gestisce il sistema è tutto concentrato su questo e non sembra che se ne stia traendo la lezione che invece si dovrebbe trarre. Convivere con questi prezzi, alti ma ormai stabili, condiziona i margini di manovra di tutta la produzione e come risposta si continua a fare accordi per aggiudicarsi maggiori fonti di approvvigionamento, soprattutto di gas, per poi rivenderli all’estero secondo la borsa dei prezzi, per trarne profitto. Vedi l’accordo di Eni con la Libia. Per questo dico che il passaggio ad un nuovo modello energetico dovrebbe passare anche da un profondo rinnovamento dei vertici di tutte le tecnostrutture. E’ necessario fare una svolta che preveda una vera transizione, ovvero un nuovo modello energetico in cui si punti sulle vere rinnovabili e in cui la presenza del gas sia integrativa e non prioritaria. Ma perché questo possa davvero avvenire è necessario che il management venga completamente rinnovato.
Invece si deve sottolineare, ed è un problema rilevante, che ad esempio la finanziaria continua ad ignorare il problema. Si continuano a dare un po’ di incentivi per fotovoltaico ed efficienza energetica, ma poi il nocciolo duro continuano ad essere il carbone a Civitavecchia e una nuova offerta di centrali basate sull’uso delle fonti fossili. Mi auguro che ci sia una vera protesta sociale su questo».

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