[15/10/2007] Comunicati

Tutti i numeri del rapporto che misura la sostenibilità delle città italiane

LIVORNO. Una vera città che abbia caratteristiche di sostenibilità ambientale e sociale in Italia non c’è. Per ottenerla si dovrebbe ricorrere ad una sorta di Frankestein mettendo insieme le migliori prestazioni che singolarmente si possono registrare qua e là, nel paese. Ma il patchwork lascerebbe fuori gran parte del sud e delle isole.
Questo emerge in estrema sintesi dal quattordicesimo rapporto Ecosistema urbano, l’annuale ricerca sulla qualità ambientale dei comuni capoluogo di provincia di Legambiente e dell’istituto di ricerche Ambiente Italia, realizzato con la collaborazione editoriale del Sole 24 ore e presentato questa mattina a Roma e che verrà analizzato in dettaglio a Bolzano venerdì prossimo.

Prima classificata quest’anno Belluno, che è riuscita a totalizzare un punteggio pari a 71,40: quasi trenta punti sotto il massimo dell’indice normalizzato a 100 (che rappresenterebbe il top di performances positive su tutti gli indicatori considerati), mai al primo posto nelle classifiche di settore.
Belluno infatti vince senza primeggiare in nessuno degli indicatori, se si esclude il dato relativo alla gestione dei rifiuti (2° posto), della qualità dell’aria riguardo alle polveri (4° posto come valore medio annuo raggiunto)e dell’offerta di mezzi pubblici e del rapporto con il loro uso da parte dei cittadini (10° e 8° posto). Anzi in alcuni parametri la postazione relativa agli indici è tutt’altro che soddisfacente, come per il numero di auto circolanti su 100 abitanti (67° posto), mentre per qualche parametro non c’è nemmeno classificazione perché non è stata fornita la risposta. A Bergamo e a Mantova il secondo e terzo posto del podio con rispettivamente 67,24 e 65,94 come valore di indice raggiunto. Non brillano quindi neanche loro.

Perché non brilla la situazione generale del paese descritta da questa ricerca? Metà dei capoluoghi di provincia italiani presenta livelli d’inquinamento allarmanti, il trasporto pubblico urbano è sottoutilizzato, la raccolta differenziata dei rifiuti solo al nord ha raggiunto standard accettabili. Qua e là ci sono sprazzi di buone politiche, ma generalmente le best practices restano fatti isolati.

Tra immobilismi ed emergenze, nel complesso i fattori critici per la qualità ambientale dei nostri capoluoghi cambiano quindi assai poco, rispetto ad un anno. Per quanto il confronto sia reso difficile dal fatto che sono cambiati alcuni criteri di lavoro.
La qualità dell’aria, che è l’indicatore che in qualche modo è la risultanza delle politiche energetiche e della mobilità, è scarsa ovunque. Si superano i valori limite di biossido di azoto e di Pm10, nel 55% dei comuni capoluogo di provincia (più che nello scorso anno). In 40 centri urbani le polveri sottili superano i livelli di allarme per la salute. Che non è certo un dato sorprendente se letto assieme a quello relativo agli indicatori che riguardano la mobilità: il tasso delle automobili circolanti nelle nostre città non conosce eguali nel resto d’Europa, e addirittura sale: 62 auto ogni 100 abitanti, contro le 61 dello scorso anno. Ad Aosta, Roma, Latina, Frosinone e Viterbo si oltrepassano addirittura il valore di 70 auto ogni 100 abitanti.

Mentre riguardo al trasporto pubblico, quasi da nessuna parte si conta almeno un viaggio quotidiano di andata e ritorno per abitante su bus, tram o metropolitana. Scende anzi il numero delle città di media e piccola dimensione nelle quali l’autobus si prende meno di una volta la settimana: 43 quest’anno rispetto alle 41 nella passata edizione.

E non si fanno passi avanti nemmeno per quanto riguarda l’implementazione di sistemi di mobilità alternativa alle quattro ruote: ferma l’estensione delle piste ciclabili (circa 1.450 km in totale!) e in quasi impercettibile aumento (0,33 mq per abitante contro 0,31 dello scorso anno) l’ampliamento medio delle isole pedonali.

Analogo raffronto si può fare sull’altro elemento critico delle aree urbane, il consumo e quindi la domanda di energia rispetto all’offerta di rinnovabili e di efficienza. Nelle città italiane si concentra il 40% dei consumi energetici, con un aumento dei consumi elettrici domestici, che salgono complessivamente al sud e nelle isole ( forse per effetto dei condizionatori installati) e calano al centro e al nord. Pochi ancora i comuni (anche se in leggero aumento) che installano impianti fotovoltaici (42 ) o pannelli solari (30): e anche in questo caso rispetto ai numeri che si leggono in altre città europee il dato è disarmante.

Basti pensare che il municipio di Monaco di Baviera ha installato sui propri edifici una potenza fotovoltaica doppia di quanto tuttora esiste complessivamente su tutti e 103 i capoluoghi di provincia italiani. Stesso dicasi per il solare termico, dove a Barcellona e Lione si riscontrano singolarmente più metri quadri installati di quanti ne esistono su tutti i capoluoghi del nostro paese.

Le cifre parlano da sole. Come per le perdite di acqua potabile. Mentre tuona di nuovo l’allarme siccità per molte regioni, i due quinti dei capoluoghi italiani perdono ancora più del 30% dell’acqua potabile immessa in rete, a causa di condutture colabrodo, vecchie e senza manutenzione. Alcune aree metropolitane, Firenze, Napoli, Palermo e Catania non garantiscono la piena depurazione delle loro acque reflue.

618 chilogrammi i rifiuti urbani prodotti in media da un italiano in un anno, ma con valori che vanno da 362 ad Isernia e a 884 a Massa, e in media solo 120 chilogrammi vengono riciclati e recuperati. Sono ancora bassi infatti i livelli della raccolta differenziata dei rifiuti (21,9% rispetto al 21,7% della scorsa edizione) con un forte divario tra centro nord e sud.
Insomma per tenere il passo con l’Europa e poter parlare di politiche ambientali (soprattutto vederne gli effetti) nelle nostre città, c’è ancora molta strada da fare.

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