[12/10/2007] Comunicati

Se l´insostenibile Cina diventa persino un modello...

LIVORNO. La Cina, letteralmente «Paese di Mezzo», è uno stato dell´Asia Orientale con una superficie di 9.596.960 km e una popolazione di 1.306.313.813 abitanti; è il più popoloso del mondo e quello che confina con più Stati. Questa è la descrizione che si legge su Wikipedia (spesso censurato in Cina) dell’impero del dragone, che si appresta a celebrare - lunedì prossimo - il diciassettesimo congresso del partito comunista che governa il paese, proclamato Repubblica popolare da Mao Zedong il 1 ottobre del 1949.

Un appuntamento, quello del congresso, che è definito come decisivo per la vita politica del Paese, ma che molto probabilmente lo sarà più per la nomenclatura che per la vita reale. Questo congresso dovrà individuare i successori del segretario e presidente della repubblica Hu Jntao e del premier, che dovranno lasciare il mandato nel 2012. I predestinati sembrano essere tre, di cui uno pare emergere come l’uomo nuovo, quello che rappresenta la corrente più “liberista” del partito.

Ma poco cambierà – a detta degli osservatori - del processo che ha visto la Cina trasformarsi in tempi velocissimi in un nuovo centro del mondo. Una super potenza che, coniugando capitalismo economico con un regime autoritario ha dominato la scena della rivoluzione nella geografia della produzione industriale e del reddito; che ha raggiunto livelli di crescita che superano la soglia media annua del 10% del Pil e che ha abbassato - nonostante le gravi disuguaglianze ancora esistenti - la soglia della povertà assoluta della popolazione al di sotto del 5%. Pagando un prezzo altissimo.

Il modello utilizzato dalla Cina è un compromesso al ribasso sia per le condizioni interne di lavoro, troppo spesso disumane, sia per le condizioni ambientali che l’hanno portata a scalare le vette dei paesi più inquinati del mondo. La velocità con cui si aprono cantieri che portano con altrettanta rapidità alla realizzazione di fabbriche, centrali, infrastrutture, intere città dal nulla, sta consumando quantitativi impressionanti di materie e combustibili, tanto che le risorse interne - seppur ricche - non sono più sufficienti. E a questa travolgente velocità di crescita non corrisponde un altrettanto livello di benessere della popolazione, che seppure ha visto aumentare il livello medio di reddito, non altrettanto si può dire delle condizioni di vita: un quarto dei bambini delle 12 regioni più povere della Cina non vanno neppure alla scuola dell’obbligo e spesso vengono invece impiegati in lavori massacranti, com’è emerso dalle recenti cronache, per una maggiore “trasparenza” mediatica resa possibile dai riflettori accesi nei confronti della Cina per le prossime olimpiadi..

Tutto è gigantesco: a partire dalla diga delle Tre gole, il più grande bacino idrico del mondo, completata nel maggio dello scorso anno e costata 25 miliardi di dollari in termini monetari e circa due milioni di sfollati in termini umanitari. E che comporterà ancora il trasferimento di altri quattro milioni di persone nei prossimi 10-15 anni per salvaguardare, secondo il piano di sviluppo della città di Chongqing, la “sicurezza ecologica” dell’opera. Che è di per sé una contraddizione in termini.

«Una forza debordante - scrive oggi il diplomatico Silvio Fagiolo dalle colonne del Sole24Ore -che non esporta più ideologia bensì beni materiali, capace di suscitare paure e tensioni, di far riemergere grida in favore del protezionismo». La Cina è diventata una grande potenza esportatrice a livello mondiale: dai prodotti ad alto e medio contenuto tecnologico, a prodotti di largo consumo e di scarsa qualità, che diventano presto rifiuti nei paesi occidentali, abituati ormai alla consuetudine dell’usa e getta, su praticamente tutto.

Un potenza economica con cui i paesi occidentali faticano a confrontarsi con qualche chance di egemonia (lo dimostra il recente veto della Cina al Consiglio di sicurezza delle Nazione unite che chiedeva la liberazione dei monaci birmani arrestati durante le repressioni del regime militare) e che rischia di divenire il modello di molte delle “tigri asiatiche”, che già cominciano ad affacciarsi su questo nuovo quadro globale e che potrebbero, anziché aprirsi a modelli di sviluppo più sostenibili sia in termini sociali che ambientali, pensare di imitare la Cina, con risultati facilmente prevedibili. E a quel punto il solo pensare di frenare le emissioni di gas serra e i cambiamenti climatici del pianeta sarebbe come tentare di fermare un treno in corsa senza freni. E il risultato è piuttosto scontato.

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