[14/03/2006] Consumo

Distretti industriali e «de-territorializzazione»

FIRENZE. La ricerca mette in evidenza la necessità di rivedere molti dei paradigmi di ragionamento sui distretti partendo dalla consapevolezza delle «gravi minacce» e dai «motivi intrinseci di debolezza» oltre che dal «grande contributo alla crescita ed alla competitività dell’economia italiana» e regionale. Dalla pubblicazione emergono alcune conferme: «qualità e innovatività dei prodotti», «grande flessibilità di gestione dei cicli produttivi» e «arricchimento dei prodotti con contenuti» innovativi e di servizio; «affidabilità nel garantire i tempi di consegna». Da qui la tendenza a ricercare «posizionamenti di nicchia, all’interno delle fasce di mercato a più alto valore aggiunto», da una parte, e, dall’altra, «una crescente differenziazione nei percorsi strategici perseguiti dalle singole imprese». Comunque sia, i ricercatori mettono in evidenza come rimangono punti chiave di qualunque strategia:

a) il «capitale di conoscenza» come capacità di affrontare rigenerazione, codificazione e trasmissione dei «saperi taciti» dei distretti, non solo in termini di ricerca di base e applicata, ma anche attraverso un ripensamento della qualità delle «relazioni esistenti tra i vari elementi dei sistemi territoriali (nazionale, regionale e locale) dell’innovazione»;

b) il «capitale organizzativo» sostenendo operazioni di «aggregazione, partecipazione, concentrazione e fusione tra imprese», oltre che «di crescita per via interna», sostenendo a sua volta «processi di internazionalizzazione finanziaria, produttiva e commerciale»;

c) il «capitale relazionale» avviando «processi di apprendimento tra contesti produttivi diversi che permettano di costruire vantaggi comparati più solidi e duraturi»;

d) la «disponibilità di capitale umano adeguato» senza il quale «ogni strategia innovativaù è destinata a fallire. Ciò richiederebbe secondo gli autori «l’integrazione delle politiche della formazione in visioni condivise di sviluppo… come esigenza preminente per dare credibilità alle strategie delle imprese distrettuali»;

e) il «capitale digitale» come «esigenza di digitalizzazione e di investimenti sistematici nelle information technologies» mirato a migliorare soprattutto «le relazioni interne… alle esigenze di gestione di filiere complesse e globalizzate, ossia come mediazione tecnologica di relazioni a grande distanza»;

f) infine il «capitale finanziario» superando, sostengono gli autori, «una visione degli strumenti finanziari di supporto alle imprese… come mero ossigeno di sopravvivenza in attesa di una ripresa congiunturale ed invece di ricostruire con modalità e contenuti aggiornati un rapporto strutturale virtuoso tra strategie di aggiustamento produttivo dei distretti e sistema finanziario».

Ma anche la politica e le amministrazioni (anche locali) debbono fare la loro parte, sostengono gli autori, e in prima istanza «si pone un problema di competenze» e secondariamente «si pongono problemi di contenuti, o meglio si pone il problema della non sostenibilità di politiche mono-tematiche e, per converso, la necessità di un approccio complessivo ai problemi di ristrutturazione e sviluppo dei distretti». Infine, sostengono gli autori, «le metodologie di fondo delle politiche distrettuali devono essere rimesse in discussione» in «una fase in cui si rafforzano le disomogeneità di struttura, condotte e performance tra le imprese», ma anche per converso «scelte di conservazione e protezione».

Se «il distretto rimane unità di analisi e di politica rilevante» esso non è più esclusivo, in quanto non più capace di «contenere tutte le relazioni produttive, cognitive e di mercato che oggi reggono una filiera robusta e competitiva». Ne «deriva una sfida, insieme concettuale e politica, a immaginare distretti “più che locali” ed al limite “de-territorializzati”» che pongono problemi completamente nuovi sul piano del lavoro e dell’ambiente, del governo del territorio rispetto ai quali il ritardo di consapevolezza è del tutto evidente, questione che la pubblicazione in questione ha il pregio di enunciare, ma non di affrontare.

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