[01/10/2007] Recensioni

La Recensione. La democrazia e il mercato di Jean Paul Fitoussi

E’ divenuta una sorta di consuetudine affermare che ormai abbia perso significato la distinzione tra destra e sinistra, e (non solo nelle chiacchiere da bar) la motivazione è che: tanto non c’è più differenza.
«Mai come oggi, in tutta Europa- sostiene invece Giorgio Ruffolo in un suo articolo pubblicato quest’estate su La Repubblica, in relazione alla posizione che il nuovo partito democratico assumerà rispetto al grande confronto tra la destra e la sinistra - quella contrapposizione è stata così evidente e serrata. (…)Certo, non si tratta più della rappresentazione della sinistra come cambiamento e della destra come conservazione. Per più di un verso questa distinzione si è rovesciata. Si tratta della contrapposizione tra chi accetta i rapporti di forza che risultano dal conflitto sociale e chi pretende di correggerli e di orientarli secondo valori e obiettivi di sostenibilità e di equità. Da questo punto di vista, la questione del rapporto tra economia e politica, tra mercato e democrazia è centrale e vitale».

Ma come si collocano tra di loro il mercato e la democrazia? Può esistere un mercato senza democrazia? E la politica deve essere subordinata all’economia o viceversa, deve essere la politica a seguire le esigenze del mercato? E come si declinano queste risposte tra destra e sinistra?
Il mercato, inteso come l´insieme degli scambi economici che producono la ricchezza, secondo quanto sostengono molti esponenti autorevoli del sistema economico, deve essere lasciato libero di agire, non deve avere freni, né troppi controlli. Così la democrazia, come la conosciamo nelle principali realtà in cui si è concretizzata, con tutte le sue rappresentazioni e con tutte le sue complicazioni, fra cui possiamo elencare i tempi lunghi per prendere le decisioni, la partecipazione dei cittadini , il ruolo degli stati e del governo, i diritti delle persone e delle comunità, diventa in questo senso quasi un intralcio all’agilità di cui ha bisogno il mercato per potersi esprimere al meglio.

Il problema di stabilire quale sia il regime politico più favorevole all’efficienza economica è posto molto seriamente da molti fra i più importanti economisti e il saggio “La democrazia e il mercato” di Jean Paul Fitoussi cerca di far luce su tale questione. E lo fa con argomentazioni analitiche, senza posizioni precostituite, analizzando tesi riconducibili alla ideologia di destra e di sinistra. Il metodo che sceglie per sviluppare il suo discorso, rinuncia alla polemica diretta, alla contrapposizione tra ideologie, e segue invece il filo del confronto tra le argomentazioni di chi sostiene il primato del libero mercato, mettendole in relazione ai fatti.
La conclusione cui arriva Fitoussi è che la democrazia non è affatto un ostacolo al mercato, ma al contrario è un sistema che ad esso conviene.
«In altre parole - scrive Fitoussi - la tesi secondo cui il capitalismo è sopravvissuto come forma dominante di organizzazione solo grazie e non malgrado la democrazia a livello intuitivo sembra molto convincente».

Nella prima parte del saggio, dedicata allo studio di quale sia il sistema politico più consono al mercato, arriva alla conclusione infatti che senza dubbio il sistema più conveniente è la democrazia «per il surplus di benessere che offre agli attori economici».
Nella seconda parte va ad approfondire e a trovare le basi di questa conclusione. E attraverso una serie di esempi dimostra che “mercato e democrazia, contrariamente all’opinione dominante, appaiono complementari, invece che sostituibili, perché il sistema economico aumenta l’adesione al regime politico e la democrazia, che riduce l’insicurezza economica, rende accettabili i risultati dell’economia di mercato».

Con una serie di esempi concreti si mette infatti in evidenza che storicamente, nelle società occidentali sviluppate, la democrazia non ha mai creato ostacoli e non è mai stata un freno per lo sviluppo economico. Anzi sostiene Fitoussi, che vi sono “forti indizi empirici” che “la democrazia, ad un identico tasso di crescita di lungo periodo, permetta di aumentare il grado di benessere degli abitanti di un paese”. E la spiegazione che ne dà è per il fatto che la democrazia oltre ad essere desiderabile ed un valore in sé, offre anche il vantaggio di essere un sistema più flessibile e quindi di consentire maggiori e migliori possibilità di adattamento alle diverse circostanze.

Il solo sistema politico capace – in virtù delle reti di sicurezza collettiva presenti al suo interno – di garantire un’autentica efficienza economica, come evidenziato con dati, statistiche e indagini, dalle quali si evince come siano precisamente le società più solidali a risultare anche quelle che offrono migliori performance dal punto di vista produttivo.

Mettendo a confronto la visione della “democrazia come lusso” di Robert Barro e la descrizione dei vantaggi – anche di natura economica – dei sistemi democratici rispetto a quelli autoritari effettuata da Dani Rodrik, l’autore propende fortemente per la seconda.
Quindi la tesi che propone e che dimostra Fitoussi è che non esiste una contrapposizione tra democrazia ed economia di mercato, ma che anzi al contrario esiste una salda complementarietà tra di loro: l’una rafforza l’altra in maniera reciproca. “Impedendo l’esclusione da parte del mercato, la democrazia accresce la legittimità del sistema economico e, limitando l’ascendente politica sulla vita dei cittadini, il mercato consente una maggiore adesione alla democrazia. In tal modo ognuno dei principi che governano gli ambiti della politica e dell’economia trova il proprio limite nell’altro, ma anche la propria legittimazione”.

Quindi soltanto le forme dinamiche di governo possono garantire al contempo benessere economico e degli individui. Per questo non esiste un modello di democrazia universale, per il fatto che necessariamente essa deve rispondere ad esigenze locali di natura antropologica, sociale, culturale e deve necessariamente essere radicata a livello locale. E altrettante saranno le forme assunte dalla “democrazia di mercato”, perché dipenderà dalle scelte sociali fatte di volta in volta da ogni paese.
E questo vale anche riguardo al tema della globalizzazione e del rapporto tra questa e la democrazia.
Grazie alla globalizzazione, dice l’autore, il livello di vita avanza più rapidamente e ciò permette di godere di maggiori opportunità, dunque aprirsi agli scambi commerciali mondiali, per questo motivo, risulta una scelta perfettamente razionale, per un paese. Ma allo stesso tempo, ciò accresce il livello di insicurezza, esponendo i paesi al rischio di choch esterni. Pertanto è necessario che questo processo sia accompagnato da un aumento dell’attenzione al welfare, incrementando spesa pubblica e sicurezza sociale, oltre che da una direzione attiva delle politiche economiche.
Per incamminarsi nella direzione di una mondializzazione che sappia trarre dall’apertura dei mercati e dall’intensificarsi degli scambi la possibilità di un futuro migliore per tutti, popoli e individui, bisognerebbe ancora una volta che si adoperasse il metro della democrazia, che ovunque, con forme anche diverse, ha saputo imporre istituzioni di solidarietà.

Non è quindi in discussione secondo l’autore l’apertura dei paesi agli scambi internazionali, “ma un discorso retorico di legittimazione di un capitalismo dominante che considera la democrazia e la politica come ostacoli allo sviluppo, in flagrante contraddizione con i fatti.” Ed il vero problema sembra allora essere il fatto che tale ideologia è ormai opinione assai diffusa.
“Coloro che non la sostengono vi si rassegnano- conclude Fitoussi- e tentano di salvare il possibile. Bisognerebbe, invece, inventare un nuovo futuro, discuterne apertamente sulla pubblica piazza, e restituire così alla democrazia quel vigore che non avrebbe mai dovuto perdere”.

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