[01/10/2007] Consumo

Computer, server, incentivi e flussi di materia

LIVORNO. Quando chiunque di noi si siede davanti ad un pc e scrive su un foglio word oppure naviga su internet, ha la sensazione di vivere in un mondo soft, dove l’hard è sempre meno invadente e sempre più bello a vedersi. Ma purtroppo è un’illusione. Perché tanto per dirne una la memoria dei computer è sì virtuale ma da qualche parte deve pur essere contenuta. Così si capisce come mai nel 2009 si prevede che ci saranno oltre 35 milioni di server nel mondo. Lo dice uno studio di Idc, azienda specializzata nell’analisi di mercato It, che oggi Repubblica riporta sull’inserto “Affari & Finanza”.

«L’ambiente – si legge nell’articolo – non guarda in faccia nessuno e mette il computer sul banco degli imputati. O meglio, ci mette direttamente i data center delle grandi aziende: enormi pareti strapiene di server che consumano energia e producono calore, talmente tanto da costringere a investire cifre vertiginose in altrettanti macchinari che assicurino un’adeguata refrigerazione».

Due i problemi ambientali di questa crescita segnalati dallo studio: mancanza di spazi e uso eccessivo di elettricità. Ne manca però almeno un altro, che aggiungiamo noi: i flussi di materia. Che significa sia che per fabbricarli servono pur sempre materie prime, sia per sostituirli - causa l’obsolescenza programmata di software e hardware nonché la nota Legge di Lavoisier – bisogna occuparsi di quelle macchine che non si utilizzeranno più.

Siamo perfettamente all’interno del nodo gordiano: come si incide sui flussi di energia e su quelli di materia per riorientarie l’economia verso la sostenibilità. Perché come dimostrato l’obiettivo del “decoupling”, che qualcuno sperava di raggiungere in questi ultimi trent’anni prevedendo una ormai prossima era della “dematerializzazione”, non sembra al momento poter passare da questa strada.

Lo sganciamento – perché questo è il “decoupling” - tra crescita economica e pressioni ambientali, sia in termini relativi (crescita degli aggregati economici di riferimento superiore a quella degli indicatori di pressione), sia soprattutto in termini assoluti (riduzione dei valori degli indicatori di pressione pur in presenza di crescita economica) va in crisi proprio e anche quando si parla di economia della conoscenza, di information tecnology, di Web, della rete delle reti che doveva rivoluzionare (e lo ha fatto ma per altri aspetti) il mondo, “demetarializzando” e riducendo pure il lavoro individuale. E va in crisi perché si scontra con problemi ‘materiali’, fisici (serve sempre più spazio e serve sempre più materia) ed energetici (anche se sono efficienti il totale consumato è in crescita).

Il punto, ovviamente, non è osservare quanto queste previsioni di “dematerializzazione” siano state sbagliate, ma riflettere sul fatto che è arrivato il momento di cominciare ad affrontare il problema da un altro punto di vista. Anche quando si parla di ridurre i consumi dei prodotti bisogna aver chiaro che non è un’operazione soft ma hard. Si pensi infatti a che cosa comporti la volontà politica (condivisibile) di aiutare i consumatori nel comprare elettrodomestici con consumi più bassi, o auto con emissioni inferiori. Se da una parte arrivano nuovi prodotti, significa che dall’altra quelli vecchi hanno esaurito la loro funzione. Per riuscire a ottenere risultati che aiutino il pianeta a mettersi sulla strada della sostenibilità ambientale – operazione tutt’altro che facile e indolore - serve dunque una visione olistica, per non incappare in errori marchiani. Serve una visione complessiva dalla quale non si può lasciare fuori l’aspetto dei flussi di materia che infatti, come in questo caso, saltano fuori in tutta la loro presenza fisica e affatto virtuale. Ma soprattutto serve non scambiare le assolutamente necessarie azioni molecolari (e la loro funzione pedagogica) con il fiume in piena della crescita mondiale che pretenderebbe livelli di governo almeno pari a quelli in cui si determina il suo orientamento. Ma di questo non se ne vede traccia!

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