[28/09/2007] Comunicati

Lo slalom di Bush sul global warming...

LIVORNO. Mentre a Washington continua il summit sul riscaldamento globale voluto da Bush, anche per occupare la scena presa dall’ingombrante vertice ad alto livello dell’Onu sui cambiamenti climatici di lunedì scorso che ha messo insieme 80 capi di Stato e più di 150 Paesi, cresce l’attesa per il comunicato multilaterale che dovrebbe essere emesso domani.

Bush ha convocato solo i Paesi “pesanti”, sia per economia che per emissioni di gas serra e inquinamento: i ricchi ed industrializzati Unione Europea, Francia, Germania, l´Italia, Regno Unito, Giappone, Canada, Australia, ed i Paesi emergenti a rapido sviluppo: India, Brasile, Corea del sud, Messico, Russia, Indonesia, Sudafrica e soprattutto quella Cina che contende agli Usa lo scettro di maggiore inquinatore del pianeta e turba i sogni di competitività ed egemonia economica planetaria degli americani tanto da essere diventato, insieme all’India, l’elemento principale per cui gli Usa si rifiutano di aderire ad un Protocollo di Kyoto che non fissa limiti di emissioni per i Paesi in via di sviluppo.

Il vertice di due giorni è blindato, ma le critiche arrivano da fuori e trapelano ugualmente dall’interno, Bush ha quindi incaricato Condoleezza Rice di mettere qualche paletto: «Riconosco che noi americani siamo allo stesso tempo una grande potenza economica ed un grande portatore di emissioni – ha dichiarato il segretario di Stato Usa – ma qui a Washington dobbiamo lavorare insieme per assicurare in modo pragmatico che si possa raggiungere un obiettivo comune: la formulazione di un accordo quadro internazionale per affrontare i cambiamenti climatici nel contesto della convenzione sull’ambiente dell’Onu».

Secondo la Casa Bianca il summit cercherà un accordo sul processo e su più temi di lavoro che porti i singoli Stati ad accordarsi sulla strategia da attuare nel 2012, per il dopo Kyoto, che potrebbe anche «includere un obiettivo globale di lunga durata, che definisca razionalmente, strategie, termini e metodi e settori di base per migliorare la sicurezza energetica e ridurre le emissioni di gas». Per i leader europei, invece, le nazioni che inquinano di più devono fare la parte maggiore nel trovare soluzioni.

Il vertice sembra camminare sul filo sottile di uno scetticismo diffuso e di un ottimismo di facciata che riunisce americani, cinesi ed altri Paesi che non vedono di buon occhio Protocolli vincolanti.
In una lettera a Bush i membri del Congresso Usa, capeggiati da democratico Ed Markey che presiede la House of representatives global warming committee,non crede molto al realismo del pragmatismo della Rice e chiede limiti obbligatori per le emissioni di CO2: «Abbiamo bisogno di riduzioni reali dell´inquinamento e del riscaldamento globale, non di aspirare ad obiettivi».

L’Onu affida il suo richiamo alla responsabilità del governo americano a tre pezzi da novanta, gli inviati speciali sul cambiamento climatico Gro Harlem Brundtland, Ricardo Lagos Escobar e Han Seung-soo. «La direzione che prenderanno gli Usa sul cambiamento del clima è essenziale – hanno detto in un briefing a Capitol Hill - non solo perché sono un grande emettitore di gas serra, ma perché gli Stati Uniti sono sul filo della lama dello sviluppo di soluzioni tecnologiche e di poterle fornire al mercato globale».

Una tesi condivisa anche dalla Gran Bretagna, un altro alleato di ferro degli Usa, ma che sul global warming ha assunto una posizione ben più avanzata. Per John Ashton, rappresentante speciale sul cambiamento climatico del governo britannico, «non possiamo fare questo in base ad obiettivi di pura comunicazione o parlando solo di regole e obiettivi». «Sappiamo – ha aggiunto - che un metodo volontario di approccio al riscaldamento globale ha più o meno l’effetto di un segnale di limite volontario di velocità sulla strada. Non è questo il giusto approccio che dobbiamo avere. Abbiamo bisogno di un metodo di lavoro che funzioni molto rapidamente. Una cosa che galvanizzerebbe realmente gli sforzi internazionali sul clima sarebbe un insieme di politiche statunitensi per mettere gli Usa sulla strada di un veloce sviluppo di un´economia a basso tenore di carbonio. Ora dobbiamo smettere di parlare della comunicazione e iniziare a decidere cosa fare».

Bush invece punta a consolidare un fronte tra nazioni industrializzate ed emergenti che, per motivi differenti, non vogliono sottostare a tagli obbligatori delle emissioni climalteranti: i Paesi industrializzati non vogliono nuocere alle loro floride economie, mentre i paesi in crescita non vogliono rallentare la loro corsa all’industrializzazione ed ai consumi.

«Per un Paese in via di sviluppo, la cosa più importante è di ridurre la povertà» ha detto Xie Zhenhua, vice presidente della commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo della a Cina, ma anche per lui «Tutte queste discussioni dovrebbero essere prese nel quadro del Unfccc e del protocollo de Kyoto», una critica non proprio velata all’incontro promosso da Bush. E il ministro dell´ambiente del Messico ha acconsentito: «Dobbiamo sempre considerare che la metà della nostra popolazione è sulla linea di povertà – ha detto Juan Rafael Elvira Quesada – Comunque, siamo estremamente interessati a tutto quel che riguarda le conseguenze e gli effetti nocivi del cambiamento di climatico».

Ma i Paesi in via di sviluppo provano a porre un alle loro emissioni mentre aumenta (non dappertutto) il benessere dei loro cittadini, e per Sergio Serra, il primo ambasciatore del Brasile incaricato per il global warming, «È un mito da pensare che i Paesi in via di sviluppo non stiano facendo niente per contrastare il cambiamento climatico».
Per Humberto Rosa, il ministro dell´ambiente del Portogallo che ha la presidenza di turno dell’Ue, sarebbe ingiusto aspettarsi dai Paesi in via di sviluppo che adottino obiettivi rigidi per le emissioni di CO2, se i Paesi industrializzati che sono i maggiori inquinatori non facessero ancora di più.

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