[25/09/2007] Comunicati

La partita del clima

ROMA. Non sappiamo ancora se – come dice Ban Ki-moon, segretario generale dell’One – è iniziata una nuova era. Certo ieri al Palazzo di Vetro di New York è iniziata una nuova grande partita tra le Nazioni Unite e gli Stati Uniti, la cui posta in gioco è il modo (e la serietà) con cui il mondo cercherà di contrastare i cambiamenti del clima.

Lo scontro è sul merito e sul metodo della lotta all’effetto serra. Nel merito, Ban Ki-moon vuole continuare lungo la strada maestra della Convenzione sui Cambiamenti del Clima e del suo primo Protocollo attuativo, conosciuto come “Protocollo di Kyoto” e fondato su precise “quote di emissione” di gas serra da assegnare a ogni paese. Il “Protocollo di Kyoto” scade nel 2012 e prevede il taglio del 5,2% delle emissioni di gas serra da parte dei paesi di antica industrializzazione rispetto ai livelli del 1990. Nelle intenzioni del segretario generale delle Nazioni Unite c’è un nuovo accordo che porti a un aumento sostanziale dei tagli e a un impegno a contenere le emissioni, sia pure in maniera differenziale, da parte di tutti i paesi del mondo, compresi quelli di nuova industrializzazione.

Quando al metodo, Ban Ki-moon vuole che l’accordo venga negoziato e raggiunto in sede di Nazioni Unite. Perché i cambiamenti climatici sono il più grave problema che ha di fronte l’umanità; perché l’Onu è l’unica sede legittima in cui l’umanità discute e affronta i suoi problemi; perché la politica di contrasto ai cambiamenti climatici può e deve occasione di rilancio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Di tutt’altro avviso è George W. Bush, il Presidente degli Stati Uniti d’America. Che sia nel merito che nel metodo persegue una strategia diversa. Nel merito, perché la sua Amministrazione non vuole “soglie” e “norme” rigidamente vincolanti per abbattere le emissioni di gas serra, ma propone una politica di “obiettivi volontari” piuttosto morbidi e, in ogni caso, “compatibili con lo sviluppo economico” che i singoli paesi possono raggiungere con politiche centrate sul mercato.

Nel metodo, perché George W. Bush pensa a un accordo “tra pochi grandi”, fuori dalle Nazioni Unite, in un abbozzo di “direttorio” mondiale che, partendo dalle questioni climatiche, si proponga nei fatti come il vero “governo del mondo”. In pratica si tratta di un G8 allargato a Cina, India e a qualche altro grande paese. Ed è per questo che il presidente americano. Che la partita sia iniziata in maniera, per così dire, ufficiale non ci sono dubbi. Ban Ki-moon ha organizzato, ieri, una giornata dedicata ai cambiamenti climatici in apertura della sessantaduesima Assemblea generale dell’Onu. George W. Bush ha organizzato una due giorni, a margine della medesima Assemblea, tra i 15 paesi con le maggiori emissioni – in pratica, il G8 con Cina, India e pochi altri – sullo stesso argomento.

Ma il risultato è aperto. Chi vincerà la partita?
La risposta dipende da almeno tre fattori. Più uno. I primi tre fattori riguardano i governi. E sono: l’esito delle elezioni presidenziali e negli Stati Uniti, che potrebbe modificare la politica del clima di Washington; la capacità dell’Europa di ottenere consensi intorno alla propria linea, che è molto simile a quella di Ban Ki-moon; le scelte ormai decisive dei paesi a economia emergente – Cina, India, Brasile e tanti altri. Il quarto fattore aggiuntivo e, potenzialmente, decisivo non riguarda le scelte dei governi, ma l’opinione pubblica internazionale. Se “l’altra superpotenza” farà sentire, forte, la sua voce, la partita potrà volgere, persino rapidamente, verso un esito che sarebbe apprezzato dal nuovo inquilino del Palazzo di Vetro e ben poco apprezzato dall’inquilino in via di trasloco della Casa Bianca.

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