[21/09/2007] Comunicati

Finanza, economia, sostenibilita: una poltrona per tre

LIVORNO. Ieri è stata la giornata dei record. Il primo è quello dell’euro sul dollaro (1,41) il secondo è quello del prezzo del petrolio cha ha raggiunto anche gli 84 dollari al barile. Entrambi hanno una caratteristica comune con un terzo evento, solo apparentemente molto distante. La matrice comune è il fatto che si tratta in tutti e 3 i casi di una ripetizione che ormai da diverso tempo avviene con sempre maggior frequenza: l’ennesimo rialzo dell’euro cioè, l’ennesimo rialzo del prezzo del petrolio, l’ennesimo uragano che si abbatte su qualche costa del pianeta.

Già, l’uragano Jerry che in queste ore minaccia il Messico, uno dei tanti eventi climatici “imprevisti” che solitamente guadagnano un trafiletto se ci scappa qualche morto (soprattutto se avvenuto in Paesi in via di sviluppo) , oppure un articolo di taglio centrale se i morti raggiungono una certa cifra, fino a dedicargli giornali interi quando gli effetti dell’evento assumono proporzioni catastrofiche non solo sui titoli dei giornali ma anche nella realtà, come accaduto per lo tsunami del Natale 2005.

Eppure proprio questo uragano, anzi la paura nei confronti di Jerry che prima sembrava dirigersi in un posto, poi improvvisamente ha cambiato rotta puntando la zona dei giacimenti petroliferi del golfo del Messico e di quelli della Lousiana, ha fatto schizzare verso l’alto il prezzo dell’oro nero, per un semplice motivo: è stato bloccato un terzo della produzione di petrolio dell’intero golfo del Messico, con l’evacuazione di numerose piattaforme offshore che saranno probabilmente investite da piogge torrenziali e venti tra i 63 e i 117 chilometri orari. Le previsioni arrivano dai centri meteo americani, che sono abituati a interagire costantemente con l’economia mondiale: se infatti l’odierno uragano Jerry ha bloccato il 27,7% della produzione di petrolio e il 16,7% di quella di gas, i precedenti sono infiniti, basta ricordare che nel 2005 le devastazioni degli uragani Katrina e Rita misero ko per mesi il solito 25% della produzione totale di idrocarburi dell’area, oppure che il più recente Dean che ha attraversato la baia di Campeche nell’agosto scorso, ha fatto perdere il 10% di greggio rispetto a luglio.

La lista è lunga e dimostra inequivocabilmente quanto le scelte economiche non orientate alla sostenibilità possano gravare enormemente sull’economia stessa. Ricordare che finanza economia e sostenibilità sono intimamente legate fra loro dovrebbe essere solo un pleonasma, così come dovrebbe essere solo pleonastico sottolineare la necessità di una governance mondiale che orienti l’economia verso la sostenibilità, pena la distruzione dell’economia stessa. Perché l’economia, lasciata alle regole del mercato, non si indirizzerà mai naturalmente verso scelte sostenibili, perché quello che oggi muove e regge tutto il sistema – come dimostrano la tempestosa crisi subprime e il rasserenamento globale provocato dal taglio dei tassi da parte della Fed – è la finanza.

Non lo capisce il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, che chiudendo il seminario di ieri sera al centro studi della sua associazione afferma: «Abbiamo troppo stato dell’economia, dove non serve» (Sole 24 ore, pagina 18). Ma forse non lo capisce perché pure lui è contagiato dal virus dell’antipolitica che fa dire una cosa sulla pagina dispari e l’esatto contrario in quella pari (e che fa stare per interminabili minuti i due probabili prossimi candidati premier a parlare di cose che non esistono, vedi la veltroniana Borgata Pignatelli di Roma). Sulla pagina dispari (la 3) dello stesso Sole 24 ore (che poi è il “suo” giornale), anche Montezemolo ci casca in pieno, dichiarando invece che siccome l’euro è troppo forte «chiediamo alla Bce e premiamo sul nostro governo perché si faccia qualcosa».

A proposito di politica (o stati, o governi) che intervengono (e dovrebbero intervenire o non dovrebbero intervenire) dentro l’economia: ancora a pagina del 2 del quotidiano di Montezemolo è ospitato l’intervento dell’ex governatore della Federal reserve Alain Greenspan, che oggi di mestiere sembra fare il professionista dell’outing: dopo aver ammesso che «non ho mai smesso di meravigliarmi di quanto la banca centrale europea e la sua moneta sui quali ho inizialmente nutrito seri dubbi si siano rivelati un risultato straordinario», ha analizzato anche le prospettive di clamorosi passi indietro: «ciascun membro dell’Eurozona oggi potrebbe abbandonare la moneta comune e tornare a quella che aveva prima. L’Italia se non fosse legata all’euro però, avrebbe sicuramente svalutato la moneta, come ha fatto in passato. Se reintroducessero la lira presumibilmente con un tasso svalutato, gli italiani dovrebbe decidere cosa fare con i loro attuali obblighi legali espressi in euro…. Imporre per legge la conversione dei debiti sia pubblici che privati in lire con un tasso arbitrario significherebbe a tutti gli effetti dichiarare la bancarotta del Paese».

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