[17/09/2007] Recensioni

La Recensione. Globalizzazione di Giovanni Gozzini

Termine contenitore di rapida diffusione, parola di moda, che raccoglie ogni aspetto della modernità: tecnologie informatiche, inquinamento, capitalismo, ingiustizia, migrazioni, multinazionali, povertà.... Parte da questa considerazione sulla parola “globalizzazione”, Giovanni Gozzini, professore di storia contemporanea e del giornalismo all’Università di Siena, per inquadrare il “processo” che più di altri ha messo in contatto diverse realtà e aree del mondo. Anche l’autore, come altri, individua nella protesta di massa transnazionale e trasversale del dicembre 1999, innescata dalla riunione del Wto a Seattle, l’inizio dell’uso corrente in forma estesa del termine globalizzazione.

Le multinazionali, il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca mondiale, il Wto, gli Stati Uniti, il G8 per arrivare ai grandi gruppi industriali e finanziari, governano il mondo causando ingiustizie e perciò diventano il bersaglio di chi vede la globalizzazione come l’origine di un “nuovo disordine mondiale”. Gozzini in modo neutro tiene però a sottolineare che in questo processo complesso non ci sono buoni e cattivi: «Nel dicembre 1999, infatti, i lavori della Conferenza di Seattle si bloccano (e da allora la situazione non è sostanzialmente mutata) di fronte alla richiesta della delegazione statunitense di applicare degli standard internazionali in materia sia di controllo e proibizione del lavoro minorile sia di salvaguardia dell’ambiente. Una coalizione di paesi, guidata dai rappresentanti di India, Brasile ed Egitto, si oppone sostenendo che si tratta di una minaccia alla propria capacità competitiva sul mercato internazionale. In questo conflitto chi sostiene le ragioni della globalizzazione?...».

Facciamo nostro l’invito che rivolge l’autore a non vedere le cose a senso unico, ma dubitiamo almeno della particolare sensibilità ambientale della superpotenza a “stelle e strisce”: molti fatti sono lì a dimostrarlo riportati nello stesso testo. Gozzini, talvolta in forma schematica, didattica ma approfondendo il tema sotto i vari aspetti, dimostra come rispetto ad origini, ripetizione del fenomeno, problematiche, si vada ben oltre gli aspetti economico-finanziari (che comunque giocano un ruolo fondamentale) e come sia il caso di guardare indietro nel tempo rispetto alla data del passaggio tra vecchio e nuovo millennio. Qualche indicazione può pervenire dallo studio etimologico, nei vari paesi, della parola globalizzazione: ad esempio in un dizionario inglese di quasi vent’anni fa, viene definita come “la possibilità attraverso la quale gli eventi possono essere vissuti simultaneamente da ciascuno” e viene citato il sociologo canadese Marshall McLuhan, teorico delle nuove comunicazioni tecnologiche che negli anni sessanta conia il termine “villaggio globale”.

Quindi, secondo questa concezione, la nascita della globalizzazione coincide con la nascita dei moderni mezzi di comunicazione di massa (la mondovisione tecnicamente si realizza nel 1967) e citando sempre McLuhan “il mezzo è il messaggio”. Parte del concetto di globalità appartiene alla sfera sociale e allo sviluppo dei media (“società dell’informazione” è un neologismo degli anni sessanta), che porterà successivamente con la rivoluzione informatica grandi vantaggi, ma anche elementi di ineguaglianza globale, lo iato incolmabile tra chi è connesso alla rete e chi no: il cosiddetto “digital divide”. Lo stesso dizionario inglese nei primi anni novanta darà poi un’altra definizione di globalizzazione con accezione rivolta ai problemi ecologici e socio-economici, mentre in Francia ad esempio la terminologia ha significato strettamente economico.

L’autore, riportando gli esempi opposti dello sviluppo economico e commerciale avvenuto in Asia e America latina, illustra le contraddizioni di un’accezione puramente economica, e afferma che non si può definire e incasellare la globalizzazione essendo un processo complesso.

Altro aspetto messo in evidenza nel libro da Gozzini, è quello della globalizzazione esistente da sempre (con la storia dell’uomo), se inquadrata come continui interscambi tra civiltà. Il confronto con l’altro, in qualunque forma (commercio o guerra), spinge al cambiamento. In questo contesto l’occidente manifesta la volontà di “inglobare”: prima in termini territoriali (con le scoperte geografiche avvenute intorno al 1500 che portano poi al dominio coloniale), successivamente, dopo la rivoluzione industriale «come vero e proprio modello di sviluppo economico e civile, soggetto di una globalizzazione attiva di stili di vita, di produzione, di consumo». L’autore, anche in questo capitolo coadiuvato da tabelle, schede di approfondimento e da immagini esplicative, saltando tra le varie epoche storiche e analizzando le ascese e declini di alcune civiltà, confronta i vari modelli economici e di sviluppo (ad esempio lo stock market capitalism anglosassone, liberista e individualista con il welfare capitalism europeo e giapponese più attento ai valori della coesione e solidarietà sociale), rimarca l’importanza della supremazia militare e tecnologica dell’occidente nella storia, fino all’egemonia mondiale degli Stati Uniti.

Inoltre “seziona” sotto vari aspetti la teoria della “modernizzazione”, che vede uno dei punti fermi nella diffusione su scala globale del modello occidentale di stato-nazione verificatosi con il processo di decolonizzazione. Infine analizza i concetti di cittadinanza e democrazia che assumono nuove forme, oltre la dimensione nazionale, e quindi i ruoli e significati attuali delle comunità culturali (le nazioni) e comunità politiche (gli stati). Negli aspetti multiculturali e nelle scienze sociali trova ampia cittadinanza, secondo Gozzini, una buona fetta della spiegazione della globalizzazione. In conseguenza oltre gli spostamenti di denaro e merci si deve tener in considerazione anche i grandi movimenti internazionali di popolazioni, quelli che l’autore chiama “il fattore umano” della globalizzazione. Gli spostamenti di persone, anche se in misura minore rispetto al passato, contribuiscono a forti trasformazioni nei paesi di arrivo e di partenza. Nel testo vengono messe a confronto le grandi migrazioni dei periodi precedenti, ad esempio il terremoto demografico e sociale a cavallo tra 1800 e 1900, con quelle odierne, analizzando motivazioni sociali, economiche ed ambientali dei migranti, confrontando l’economia dei paesi di partenza che perdevano forza lavoro, ed i vantaggi portati dalla nuova manodopera nei paesi di arrivo che ne determinarono crescita economica. Quindi più delle merci e dei capitali economici è il “capitale” umano che, almeno in passato, ha influenzato il mercato del lavoro.

Oggi invece anche nei paesi che hanno flussi migratori importanti il tasso di disoccupazione è stabile anche se si perde la forza lavoro più qualificata; inoltre Gozzini spiega e sottolinea come «non c’è alcun rapporto tra l’aumento dei flussi immigratori e la crescita della disoccupazione, in nessuno dei maggiori paesi di arrivo». L’autore affronta anche il problema dell’integrazione ed il passaggio da quello che era definito “melting pot” (crogiolo), in cui gli immigrati di varie nazionalità arrivati negli Stati uniti si americanizzavano, attraverso vari processi, in una specie di razza mista; mentre oggi assistiamo al salad bowl (insalatiera) in cui ogni differenza, etnica, religiosa e sociale convive con l’altra, difendendo la propria identità in una convivenza comune. Secondo Gozzini «nel panorama delle politiche migratorie internazionali, si riscontra, a differenza di quanto si riscontra nel commercio dei beni, una sorta di freno alla tendenza alla liberalizzazione... La liberalizzazione dei flussi migratori internazionali potrebbe invece rappresentare un elemento di svolta, con effetti positivi per i paesi più poveri, ancora più della rimozione delle barriere protezionistiche negli stati ricchi». Sicuramente una delle domande centrali sul fenomeno della globalizzazione contemporanea è se essa aumenti o diminuisca l’ineguaglianza nel mondo.

Difficile trovare una risposta certa, dato che anche nel testo si trovano argomentazioni a sostegno di entrambe le ipotesi. In Cina ad esempio, ed è un paese comunista, si è ridotta la povertà ma è cresciuta l’ineguaglianza. Qui è evidente la differenza tra crescita e sviluppo specialmente se lo qualifichiamo con l’aggettivo sostenibile. A parte la Cina, i poveri complessivamente aumentano e aumentano fette di popolazione che non possono utilizzare le risorse. Ancora una volta, sottolinea l’autore spiegandone le motivazioni, è l’occidente che tenta di imporre la propria cultura e i propri modelli, ad esempio attraverso i prestiti del Fmi e della Banca mondiale ai paesi poveri a condizione di politiche di “aggiustamento strutturale”, fatte di rigore di bilancio e tagli alla spesa pubblica che non sempre e comunque possono venir attuate. Inoltre l’occidente si erge sul piedistallo senza aver risolto le proprie ineguaglianze e differenze sociali.

L’Onu stabilisce al 2015 il dimezzamento della povertà mondiale ma «oggi nord e sud del mondo guardano alla congiuntura presente con speranze e paure diametralmente opposte: le prime appartengono a chi ha poco da perdere, le seconde a chi ha molto». Un’altra domanda importante che pone l’autore aprendo il filone analitico conclusivo del libro, riguarda la novità o meno del processo di globalizzazione. E’ un processo originale, inedito, rivoluzionario come molti sostengono o nella storia qualcosa di simile è già avvenuto? C’è chi afferma, informa Gozzini che «la convergenza globale rappresenta una sorta di legge costante dello sviluppo del mercato capitalistico mondiale... il periodo 1880-1914 presenta eventi (movimenti di merci, capitali, persone) che si equivalgono, per quantità e importanza, a quelli del periodo 1973-2000 almeno per quel che riguarda l’area atlantica del pianeta». Chi sostiene questa ipotesi, da ancora forte peso agli stati nazionali dove le imprese multinazionali sono legate al luogo di residenza della casa madre e alle politiche nazionali, secondo le quali indirizzano gli investimenti. Situazione diversa rispetto a quella in cui le multinazionali, attraverso le proprie filiali estere, si immergono nel contesto locale stabilendo rapporti e facendo impresa a rete con modelli organizzativi diversificati.

Alla domanda precedente si lega un nuovo interrogativo: chi “guida” la globalizzazione? Gozzini analizza la situazione globale citando la fine della guerra fredda, arrivando all’11 settembre 2001 e al possibile scontro di civiltà, in un quadro che vede lo strapotere militare degli Stati Uniti (spese militari Usa nel 1988, 380 miliardi di dollari correnti contro 360 Urss; nel 2002 343 Usa, 64 miliardi Russia che rimane al secondo posto) e il suo sostanziale unilateralismo negli interventi armati. Questo in un contesto di frammentazione delle relazioni internazionali e in un’economia “finanziarizzata” ed “istantanea” dove i capitali in termini di miliardi di dollari, attraverso operazioni speculative, appaiono e scompaiono in un istante, spostati da una parte all’altra del pianeta senza essere legati a programmazione politica: ciò comporta considerevoli conseguenze sociali. Questo aspetto, anche secondo l’autore, rappresenta una novità nella storia. La complessità e l’integrazione degli argomenti trattati nel volume, ha indotto solo ad alcuni accenni riportati nella recensione, omettendo molte linee di ragionamento che nel testo sono articolate in modo approfondito. Invitiamo quindi alla lettura di questo libro per scoprire, tra l’altro, anche il ruolo che Gozzini nella pagine conclusive, riserva all’Europa nel contesto attuale suddetto.

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