[13/09/2007] Urbanistica

Il dopo Pit lascia la stalla dei buoi ancora aperta

PISA. Il recente incontro promosso dalla regione a Firenze sul Pit
ha avviato quella che si spera sia ora la fase più concreta e operativa in grado finalmente di fare uscire da un clima alimentato più da polemiche e recriminazioni piuttosto che da un confronto serio sul da farsi, che impegni davvero tutti i protagonisti nessuno escluso o emarginato.

Ed ha sicuramente ragione il presidente Martini a ricordare che ciò non esclude dal confronto i tanti comitati scesi sul piede di guerra in questi mesi sulle più diverse questioni purchè ovviamente non preferiscano agitazioni ‘grilliste’ con eccessi alla Caracciolo che a Torre del Lago non esita a sparlare di tangentismo senza uno straccio di prova.

Va però aggiunto che presentare questo avvio più concreto del lavoro regionale come il rimedio che non permetterà mai più il ripetersi di casi tipo Montichiello perché ora con il Pit avremmo definitivamente chiuso le porte della stalla da cui quei progetti poterono tranquillamente scappare, sembra troppo assolutorio per il passato e troppo rassicurante per il futuro. E soprattutto non consente di capire bene perché certi episodi sono stati possibili e soprattutto cosa bisogna fare ora per evitarne il ripetersi. Quel che non ha funzionato a dovere nel recente e meno recente passato e che non sembra interessare più di tanto i vari comitati è-diciamo così- il contesto generale.

Le villette di Montichiello di cui abbiamo fatto anche in TV indigestione quasi alla stregua del delitto di Cogne più che mostruose apparivano effettivamente ‘stonate’ in quel contesto. Probabilmente non sarebbero state altrettanto mostruose e stonate altrove. Lo stesso credo si possa dire di altri progetti chiaccherati e contestati in varie parti della regione o altri interventi che presi a sé difficilmente possono essere ‘dimensionati’; pale eoliche, termovalorizzatori e altro ancora rispetto a scelte più complessive relative ai vari territori e non solo su scala comunale.

Detto in altro modo quella stalla lasciata allora aperta (colpevolmente) se vogliamo davvero chiuderla dobbiamo saper contestualizzare le scelte. Il progetto delle famigerate villette chi mai tra i cinque comuni dell’Anpil della Val d’Orcia lo valutò nella sua ‘compatibilità’ con una area protetta regionale smisurata con timbro Unesco?

Quella contestualizzazione riguarda il territorio nel suo insieme in cui gli interventi non possono essere valutati separatamente, come avveniva con la tutela del paesaggio affidata a vincoli ‘puntuali’ che non hanno mai resistito alla pressione travolgente di quelle spinte economico-sociali, con le quali ci si deve misurare non limitandosi ad apporre dei cartelli di divieto.
In parole povere si tratta di programmare, pianificare e non solo all’insegna della tutela del paesaggio. Anche questo è punto su cui occorre ora la massima chiarezza.

Tra le non poche cose stonate di questi mesi una in particolare va richiamata. Tutto il dibattito e i numerosi appelli a Roma a intervenire per bloccare le malefatte erano rivolti a Rutelli. Ma una pianificazione ambientale degna di questo nome in una regione che -ricordiamolo ancora una volta- ha sei parchi nazionali e regionali, deve guardare oltre il paesaggio; la natura, la biodiversità e così vià di cui il paesaggio –vedi Convenzione europea- è un ‘momento’, importantissimo ma solo un aspetto di una realtà più complessa. Chi lavora – come è già avvenuto con il Codice Urbani per separare nuovamente la tutela del paesaggio da quella più ampia concezione inclusiva della natura etc che al Senato si sta discutendo per inserirla anche nella Carta costituzionale integrando l’art 9 sul paesaggio, non fa un buon servizio neppure alla tutela del paesaggio.

Debbo dire che dover riaffermare oggi in Toscana concezioni di questo tipo dopo l’esperienza importante e positiva fatta in tanti anni con i parchi regionali che tra i vari compiti hanno anche quello-ma non solo quello- di tutelare il paesaggio, amareggia non poco specie se si considera il silenzio che sembra essere calato proprio in un frangente tanto delicato sul ruolo delle aree protette.
Riccardo Conti più volte in questi mesi ha teso a sottolineare che faremo con il PIT quel che si può, ma anche quel che si può fare non risponde sempre alle stesse finalità. Noi bisogna fare quel che risponde a criteri di pianificazione di territori che non possono essere la somma di tante cose che in se possono anche essere ‘ragionevoli’ ma non lo sono su quella scala che oggi sempre più valica i confini amministrativi dei singoli livelli istituzionali.

L’esigenza di una corresponsabilità della intera filiera istituzionale –come si dice oggi- scaturisce da qui, dalla necessità di raccordare, integrare ciò che frammentato e talvolta cervellotico difficilmente darà buoni frutti anche ‘se si può fare’.
Stupisce perciò la polemica vecchia come il cucco contro il ruolo dei comuni ed anche in altri casi della regione di chi è scandalizzato dal venir meno delle gerarchie che voleva lo stato indiscussa sentinella a cui tutti gli altri dovevano sottostare.
E che un ex ministro Paolucci possa considerare la riforma del titolo V ‘sciagurata e nefasta’ stupisce non solo perché rieccheggia posizioni d’altri tempi, che hanno già arrecato danni enormi al paese, ma perché non vede che solo in questo raccordo paritario che accresce le responsabilità politiche e di governo del centro e non le mortifica come pensano sbagliando tutti i centralisti incalliti,
si può garantire un governo del territorio sostenibile.
Naturalmente la stessa prova di responsabilità e di sensibilità debbono saperla dare anche tutti gli altri protagonisti della ‘filiera’ che non sempre in questo mesi hanno dato il meglio di sé.

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