[06/09/2007] Comunicati

Il brodino degli spot verdi non sazia il bisogno di economia ecologica

LIVORNO. Il marketing è verde. Lo dice con convinzione oggi Repubblica e – almeno in questa fase storica – non si può non essere d’accordo. Dalla piccola alla grande industria infatti, i messaggi pubblicitari che alludono a quanto quel prodotto, piuttosto che l’altro, sia più risparmioso energeticamente, oppure a livello idrico o di emissioni, si sprecano. Gli esempi sono moltissimi, dall’Enel, alle auto, ai prodotti per lavapiatti e lavatrici, ai telefonini ecc. ecc. E non è affatto un male (anche perché non è che siano diminuiti gli spot che di queste cose se ne infischiano, anzi). Negli Usa si parla già di green business, mentre in Italia – sostengono i direttori creativi di Young & Rubicam, «siamo un po’ in ritardo e la scelta ecologica non è quella guida». Le leggi del mercato sono quelle che sono, le si possono certo criticare anche con ragione, ma per una riconversione ecologica dell’economia vanno sapute sfruttare a proprio tornaconto. E quindi al fuoco, bisogna ‘metaforicamente’ risponde con il fuoco. Mettere i fiori nei cannoni è ancora utile, ma per portare a casa un risultato concreto bisogna giocare con le stesse ‘armi’. E una di queste è senz’altro la comunicazione mass-mediatica.

Già nella dizione "marketing verde", come del resto in quella anglofoba design for environmental (design per l’ambiente), rappresenta però una forma di ossimoro. Il risultato del marketing pubblicitario legato ai prodotti, come del design, resta infatti sempre quello di aumentare i consumi. Se produco un nuovo oggetto che consuma la metà di materia di quello precedente faccio certamente un’operazione virtuosa, ma se prima ne vendevo 500 pezzi e ora ne vendo 1000 bisogna aver ben presente il fatto che il risultato è lo stesso. Non si esce da questa contraddizione se a queste azioni non se ne affiancano altre che prevedano un modello più sostenibile dei comportamenti consumistici. Una televisione che consuma meno energia – altro esempio che abbiamo fatto anche in altri articoli – è certamente cosa buona, ma se me ne fa gettare via uno vecchio comunque funzionante e se è stato costruito con l’obsolescenza programmata e non perché duri il più possibile, dal punto di vista della sostenibilità lascia il tempo che trova.

Questo non significa che tutte queste azioni di marketing siano inutili, anzi. Non fosse altro perché significa che c’è una domanda, altrimenti il mercato non investirebbe sul settore. Come aiutano il movimento anche i film sui cambiamenti climatici o comunque che hanno l’ecologia come ispirazione. Abbiamo visto l’impatto comunicativo del documentario di Al Gore, sia sulla gente sia sulle stesse star di Hollywood. Come Leonardo Di Caprio che ora parla solo di ambiente e reciterà in varie pellicole ispirate al tema. Qualcuno definisce queste operazioni eco-chic e probabilmente lo sono, ma crediamo che possa valere la regola ‘del tutto fa brodo’. A patto, però, che anche questa campagna cine-ecologista non sfoci soltanto nel catastrofismo, perché il rischio che poi diventi tutta una farsa è reale.

Se questo ‘bombardamento’ mediatico sarà solo una fiammata o “l’idea” si farà massa critica e proseguirà nel tempo rafforzandosi, lo scopriremo solo tra qualche anno, ma riteniamo che il passaggio dallo spot verde o dal catastrofismo filmico, alla riconversione ecologica dell’economia, non possa che passare attraverso l’incrocio stesso dell’economia con l’ecologia. Cosa che ancora pochi fanno. Ci pare invece che – pur con tutti gli encomiabili sforzi – si sia sempre in una fase ormai vecchia di trent’anni, dove l’ambientalismo è solo salvaguardia dell’esistente. Ma nel 2007 dovrebbe essere palese che l’ambientalismo significa soprattutto governo dell’economia. Con i mercati globalizzati e la finanziarizzazione di questa economia così spinta e che la rende così instabile, la salvaguardia è cosa ancora buona, ma se non si governa questa economia e le trasformazioni conseguenti avendo come criterio direttore quello della sostenibilità, non c’è speranza. E se va bene si riuscirà (continuerà) a mettere le pezze ai danni fatti.

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