[04/09/2007] Energia

Biomasse dagli incendi o biomasse per contrastare gli incendi?

LIVORNO. Il presidente di Confagricoltura di Benevento ha proposto «di utilizzare la legna recuperata dal taglio degli alberi danneggiati immettendola sul mercato delle biomasse vegetali» per produrre energia elettrica in centrali a biomasse già esistenti «per ottenere in tal modo risorse per potenziare le attrezzature pubbliche destinate alla salvaguardia degli incendi», con uno scambio tra legname bruciato e soldi per “riparare” i danni fatti dagli incendiari.

L’idea (anche se non nuovissima) non è però piaciuta per niente ad Italia Nostra di Potenza ed ad alcune sigle ambientaliste vicine al centro destra come Fare Verde e Accademia Kronos nazionale che ci vedono dietro altre possibili speculazioni sugli incendi. «No vorremmo – scrivono le associazioni ambientaliste in una nota congiunta - che questa "affermazione" del presidente di Confagricoltura di Benevento potesse da domani risuonare come una specie di implicita arma di ricatto "o si taglia o si brucia" in una provincia ove già avviene un uso del patrimonio forestale locale per alimentare centrali a biomasse contro le quali si oppongono comitati locali, associazioni e cittadini che vedono depauperare giorno dopo giorno i già martoriati boschi dell´Appennino. Non vorremmo che da domani qualcuno anche in Calabria e in Basilicata, emulando la proposta del presidente di Confagricoltura di Benevento, si sognasse di proporre analoga iniziativa che, con la scusa di bonificare le aree percorse dal fuoco ad esempio nel parco nazionale del Pollino e nella Valle del Lao, tendesse a catalizzare l´attenzione sull´apertura della centrale a biomasse del Mercure con la scusa di rimuovere gli alberi secchi.

Contro gli incendi e gli incendiari – sottolineano Italia Nostra, Fare Verde, Kronos e l’associazione socio-culturale La scossa di Orsomarso - è necessario ripristinare la legalità rafforzando la presenza dello Stato e prevenendo i tentativi della malavita di accaparramento delle risorse economiche, intenzionate a spartire la torta della cosiddetta "filiera produttiva delle catastrofi" che non hanno nulla di naturale, così come dimostrano gli incendi di questa estate, mentre le grandi società private già fanno profitti dallo sfruttamento economico delle risorse naturali ed dei boschi dell´Appennino».

Le preoccupazioni sono più che legittime, visto il triste circuito incendi-spegnimento. rimboschimento-incendi che sembrerebbe star dietro molti dei roghi appiccati nel nostro meridione, ma rimane il fatto di cosa fare dell’enorme quantità di biomassa, di milioni di alberi bruciasti e morti che restano in migliaia di ettari percorsi dagli incendi e che sono comunque da bonificare attraverso l’abbattimento.

Un progetto di recupero di centinaia di ettari svoltosi negli anni ’90 all’Elba, dopo due incendi dolosi che devastarono completamente la penisola di Calamita, nel comune di Capoliveri, compresa nel parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, prevedeva non solo l’abbattimento dei pini e dalla macchia mediterranea bruciati, con successiva andatura per impedire l’erosione e il dilavamento del terreno, ma anche la cessione dei pini più grandi abbattuti per usi commerciali. Ma gli alberi distrutti dal fuoco erano così tanti che si dovette provvedere comunque anche alla “cippatura”, cioè allo sbriciolamento di gran parte di una preziosa fonte di energia e di legname che venne lasciato sul posto.

Certo, se all’epoca vi fosse stato all’Elba un impianto a biomasse probabilmente quella risorsa sarebbe stata destinata lì. Il problema delle associazioni calabresi pare, più del che cosa fare dell’enorme patrimonio boschivo distrutto (che avrà bisogno di costosi progetti di recupero e di un’efficace e pronta opera di recupero idrogeologico dei territori), di come non dare ulteriori scuse alla realizzazione o all’incremento di centrali a biomasse contro le quali la loro opposizione è fermissima e che ora temono diventino la casella finale d’arrivo della "filiera produttiva delle catastrofi".

Forse modelli virtuosi come quelli in atto nell’Appennino Toscano, con una filiera energetica del legno corta e dimensionata ed un uso sostenibile e locale delle risorse forestali, potrebbero essere presi ad esempio anche nel sud per uscire da un circuito criminoso dell’uso delle foreste fatto solo di fuoco, distruzione dell’ambiente, emergenze e rimboschimenti, spesso per mantenere un lavoro precario che un uso diverso dei nostri boschi potrebbe rendere più “ricco” e sicuro”.

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