[03/09/2007] Monitor di Enrico Falqui

Tempi politici, tempi biologici : il caso Bagnoli-Piombino (1)

FIRENZE. Il 6 luglio scorso, aprendo il Corriere della Sera la mia attenzione venne catturata da una dichiarazione del Ministro dell’ambiente, Pecoraro Scanio : “il futuro di Bagnoli comincia adesso; oggi ho sbloccato fondi per oltre 200 milioni di euro, per completare la più grande opera di bonifica costiera in Italia ma anche in Europa”.
Dichiarazione impegnativa per un ministro, che si aggiunge alla successiva dichiarazione :“entro luglio sarà completata l’intesa anche con il Comune di Piombino e la Regione Toscana”.
Quale dovrebbe essere il contenuto di questa ancora non suggellata intesa?

Facciamo due passi indietro e ricordiamo ai nostri lettori che, fino al 1993 l’area costiera di Bagnoli era occupata dal grande stabilimento siderurgico dell’ILVA-ITALSIDER, che progressivamente è avanzata sul litorale marino con un fronte di colmata degli scarti della produzione di circa 900.000 metri cubi. Accanto a tale stabilimento, che occupava circa 2.000.000 mq di superficie costiera, si sono aggiunti successivamente la CEMENTIR, che utilizzava loppe di altoforno, l’ETERNIT , che produceva manufatti di cemento-amianto e la MONTEDISON, prodotti chimici.
In quest’area, la cui superficie occupata ammonta a 342 ha, lavoravano circa diecimila lavoratori, le cui abitazioni erano insediate nel perimetro esterno dei vari stabilimenti, formando una gigantesca città-fabbrica di circa 6,5 milioni di metri cubi.
La dismissione progressiva di tutte le attività dell’area industriale di Bagnoli, ha creato un enorme vuoto sociale e urbano, che ha colpito gli strati sociali più deboli della città e ha messo in discussione, negli anni passati, anche il ruolo economico di Napoli.

Quella dismissione ha messo in evidenza anche la congiunzione di una crisi a tre facce: sociale, economica ed ecologica e, di fronte all’opinione pubblica, ha fatto di Bagnoli e del suo progetto di riscatto e riconversione ad uno sviluppo sostenibile, un vero e proprio laboratorio urbano pilota in Italia e in Europa. L’idea di rifunzionalizzare questo comprensorio costiero, attraverso un Piano urbanistico esecutivo (PUE) approvato nel 2003, prevedeva interventi di conservazione e di snellimento urbanistico nei terreni pubblici abbandonati o sottoutilizzati, la creazione della città della Scienza nell’area dell’ex Montedison, e un piano di bonifica dei suoli e di riqualificazione ambientale e paesaggistica nella fascia costiera maggiormente inquinata dai preesistenti insediamenti industriali.
L’idea guida di quel Piano era quella di far sorgere una “cittadella verde” dotata di un progetto di sviluppo economico e sociale sostenibile, nell’area che maggiormente aveva subito le distorsioni ecologiche e sociali dello sviluppo della città fordista. Idea giusta, motrice potenziale di altre trasformazioni urbane nello scenario metropolitano partenopeo.

Tuttavia, come spesso accade in Italia, questa idea nuova di città si è scontrata con vecchi interessi guidati da vecchi centri di potere, che vogliono mantenere Napoli al di fuori del suo ruolo naturale di capitale europea e ha rallentato la velocità di attuazione di quel progetto. Di quel PUE , approvato nel 1993, si è realizzata , ad opera dell’IDIS, solo la città della Scienza.
Da questo punto di vista, Napoli e Piombino sono unite da un identico destino: da anni si parla di una loro trasformazione urbana per fuoriuscire da una passato di “città fordista”, che, nel corso di un secolo, si è ( in entrambi i casi ) “mangiata” un’enorme fetta di territorio, lo ha inquinato in modo pericoloso per la salute dei suoi abitanti e adesso chiede alla pubblica collettività un enorme salasso di investimenti pubblici per rigenerare i suoi spazi, il suo ambiente naturale e sociale, il suo paesaggio.

Ma si può pensare davvero, secondo quanto previsto dal D.M 471/99, che vi siano in Italia solo 40 siti dichiarati di interesse nazionale (a fronte di circa 15.000 siti inquinati da bonificare), per i quali vengono stanziati 500 milioni di euro “ una tantum” per la loro bonifica, senza che le imprese private non siano chiamate ad assolvere il loro dovere e la loro responsabilità di impresa in questa gigantesca operazione di “reclaiming “ di suoli ( privati, quando producevano profitto) oggi divenuti pubblici a tutti gli effetti?

Negli Stati Uniti, le imprese rispondono ad un codice di norme che fissano le loro responsabilità in caso di contaminazione ambientale, definiscono le procedure della valutazione del rischio e, soprattutto, lo monitorizzano costantemente, in modo da poterne valutare in ogni momento i costi del suo risanamento. Questo codice, denominato Superfund, obbliga le imprese a costituire un fund trust, finanziato dalla tassazione di prodotti chimici, petroliferi, siderurgici e farmaceutici, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti “ orfani”, per i quali non è più possibile riconoscere un proprietario responsabile.
In Italia, invece, ci siamo affidati ad un decreto ministeriale per affrontare questo gigantesco piano di bonifiche, la cui responsabilità è a totale carico della collettività, che in questo modo paga due volte il costo di un modello di sviluppo distorto della città e del suo territorio. Ecco la vera riforma strutturale che è mancata in questi anni più recenti , ecco quello che serviva per dare credibilità all’intesa di cui parla in questi mesi il Ministro “verde” Pecoraro Scanio.

Ecco, come nasce allora l’idea sbagliata dell’ “arrangiarsi da soli” o come dicono all’unisono il ministro Pecoraro Scanio e il sindaco di Piombino “cogliere l’opportunità” di un baratto di materiali , necessario al primo per risanare la fascia costiera di Bagnoli e al secondo per ottenere (solo apparentemente ad un costo accettabile) i materiali necessari al nuovo porto commerciale e alla realizzazione dell’indotto infrastrutturale ad esso collegato.
Ma su cosa sarà basata l’intesa tra Ministero e Autorità Locali toscane per realizzare questo baratto?
Niente si sa a tutt’oggi (bene ha fatto la nuova assessora regionale Bramerini a prendere tempo) e, io prevedo, poco sarà possibile definire con precisione in futuro, poiché “il baratto” comporta il trasferimento via-nave di un’enorme quantità di rifiuti, una parte inerti ma un’altra parte tossici per la presenza di Ipa, metalli pesanti, ceneri ( in minima parte anche radioattive), come ben descrive la relazione della commissione scientifica voluta dal ministro dell’ambiente Ronchi nel 1997.
Quando ci si “arrangia da soli” e dunque, non si ha a disposizione un sistema di controllo, monitoraggio, valutazione non solo ambientale e tossicologica, ma anche economica delle terre da bonificare, tutto procede più a rilento, soprattutto poi se l’operazione di decontaminazione e inertizzazione non avviene in situ ( Bagnoli ) ma a Piombino.

(L´articolo prosegue la prossima settimana)

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