[31/08/2007] Comunicati

Al supermarket di Woodstock

LIVORNO. Chi scrive nel 1969 aveva solo 12 anni e di Woodstoock più che dell’evento che sconvolse la storia del rock e fece la storia del costume giovanile, ricorda la splendida e libera immagine, all’epoca indicibile, di una ragazza felice con le tette all’aria di cui discutemmo con ammirato trasporto con i miei adoranti amici delle scuole medie. I suoni acidi di quel concerto, l’amore libero dei figli dei fiori, la speranza confusa di una società più dolce ed uguale ci arrivarono più tardi allungandoci i capelli e facendoci vestire come straccioni.

Imitazioni di un sessantotto che per noi non cominciò davvero mai, ma del quale Woodstock fu il lampo di follia e di genio, il segno di un’alterità giovanile presto in parte stroncata da quelle droghe che dovevano liberarla verso nuove esperienze e poi rifluita in un conformismo fatto di trasgressioni solitarie.

"Woodstock" diventò una canzone di Joni Mitchell e poi l’uccellino dolcemente folle, lo stralunato amico di Snoopy, o quel manifesto con la colomba posata sulla chitarra che non ricordiamo più se dal muro lo abbiamo staccato noi per sostituirlo con un mito più concretamente politico o la nostra mamma per far pulizia.

Eppure quel confusionario dibattersi nudi nel fango, quell’amore psichedelico da raganelle ubriache, segnò forse un passaggio verso una politica nuova fatta anche di liberazione personale e mise i primi sassolini di quella che sarebbe diventata poi una diversa concezione dell’ambiente, della vita, dei rapporti umani e fra uomini e donne, un ecologismo innocente, da figli dei fiori appunto, sicuramente velleitario ed ascientifico, a volte superstizioso, ma al quale la complicata coscienza ambientalista che sarebbe venuta credo debba molto.

Ma ora arriva la notizia che quel mito è così impolverato che è stato messo in vendita per 8 milioni di dollari, fattoria Yasgur e granaio compresi, ed accanto al campo Alfalfa, dove al posto del fango calpestato e irrorato dal sudore di 500 mila ragazzi ci sono 4.800 posti a sedere per spettacoli meno agitati, nel luogo dove Jimi Hendrix o Joe Cocker cantarono contro la guerra sbagliata di allora, quella del Vietnam, forse sorgerà una delle nuove agorà del genere umano: un centro commerciale, ma speciale perché con vista sui ricordi e sulla nostalgia di un evento che era il suo esatto contrario.

Vedrete, se ci andrete, che potrete comprare anche un souvenir made in China, magari un portachiavi che riproduce la chitarra di Hendrix, o una palla di neve con dentro quella magnifica ragazza felice ed ubriaca che illuminò il cervello di un gruppetto di bimbi di provincia più di mille libri.
Speriamo che almeno lei sia diventata una donna maturamente felice e che abbia conservato un pezzetto di quell’innocenza scandalosa, di quel sogno gratuito, non comprabile al nuovo supermarket di Woodstock

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