[23/08/2007] Parchi

Legambiente: «In Sicilia c´è l’industria del fuoco...»

ROMA. Può sembrare un paradosso, ma potrebbe essere un paradosso rivelatore: secondo Legambiente la Sicilia è «la regione con più agenti forestali d’Italia e nello stesso tempo una delle regioni con la minor superficie boschiva (l’8% del territorio, a fronte di una media del 30%) e una delle regioni più devastate dagli incendi».

La contraddizione, secondo gli ambientalisti, potrebbe spiegare il perché dei tanti roghi, anche di quelli omicidi: «Quello della gestione degli operatori stagionali antincendio boschivo in Sicilia è uno scandalo – sottolinea Mimmo Fontana, presidente di Legambiente Sicilia – La regione ha più volte ammesso che si tratta di una sorta di ammortizzatore sociale, che il numero di addetti in questo settore è sovradimensionato per assicurare lavori retribuiti in una terra dove di lavoro ce n’è poco. E con questa giustificazione l’Ars per prima ha alimentato un meccanismo sballato, infernale. I precari del fuoco sono talmente tanti che potrebbero addirittura spegnere le sigarette nei posacenere. Invece non riescono a frenare le fiamme che si mangiano ettari e ettari di vegetazione. Come mai?».

Il business economico-politico alimenterebbe le fiamme. «I precari dell’antincendio spesati dalla regione in Sicilia sono 30.745, poco meno della metà di tutti i forestali italiani (68mila). In pratica – spiega una nota del Cigno Verde - ognuno di loro controlla 12 ettari di territorio, mentre in Umbria (dove ci sono molti meno incendi) il rapporto è di un forestale ogni 597 ettari di bosco, in Toscana addirittura di un addetto ogni 1.409 ettari. Il loro guadagno dipende dalle giornate di lavoro e dalle ore di straordinario: più la regione va a fuoco, più alto è il loro stipendio. Insomma il sospetto, in alcuni casi la certezza, che dietro gli incendi ci sia la mano di alcuni di quelli che sono incaricati di spegnerli è alto».

E il presidente di Legambiente Sicilia, davanti al disastro ambientale e civile, dice: «Ci sono diverse mele marce, professionisti della distruzione e del rimboschimento perché dopo le fiamme poi c’è tanto da mangiare: per chi spegne e per le ditte che vanno a piantare nuovamente alberi. Quella dei roghi è diventata una attività imprenditoriale».

Ma in Sicila la mafia è naturalmente anche ecomafie «che appiccano incendi per motivi speculativi e che sono responsabili di un elevatissimo numero di roghi, ecco che si comprende come una regione possa essere così devastata, con risvolti drammatici per le persone, le case, le attività economiche. E’ buona l’iniziativa di Parisi di mandare l’esercito in Sicilia per far fronte alle fiamme. Anzi, per spezzare questo circolo vizioso, più operatori antincendio uguale più incendi, si potrebbe pensare – dice provocatoriamente Fontana –di impiegare nei prossimi anni le forze armate al posto degli stagionali nelle operazioni di spegnimento. Va disinnescata insomma la connessione tra possibilità di un impiego e l’emergenza incendi, vietando in modo assoluto le assunzioni stagionali connesse allo spegnimento dei roghi. E vanno perseguite con forza le ecomafie, assicurando una maggiore repressione e una certezza della pena per gli incendiari».
Intanto un’altra associazione ambientalista, il Wwf, piange la distruzione di gran parte della sua oasi di Torre Guaceto, in Puglia, causata da un incendio sicuramente doloso che ha incenerito canneti, macchia mediterranea, testuggini e rettili, tra i quali il raro e prezioso Colubro leopardiano.

«Dopo l’Oasi delle Cesine sempre in Puglia e quella di Torre Salsa in Sicilia, viene colpita un’altra area del WWF e qui il danno al paesaggio e alla fauna è gravissimo – dichiara Michele Candotti, segretario generale del Wwf - Il canneto si rigenererà facilmente, ma non la macchia mediterranea. Per anni rimarrà una lingua di terra sfregiata; moltissimi gli animali rimasti intrappolati nelle fiamme. L’aspetto più sconcertante è che l’incendio doloso in un’area protetta come questa è un puro atto di vandalismo; qui non si potrà mai costruire, cacciare o coltivare alcunché, è solo volontà di distruzione».

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