[17/08/2007] Comunicati

Testo unico, sul danno ambientale il fallimento è stato totale

LIVORNO. Ormai da mesi si discute sulla modifica del testo unico ambientale. Una delega al governo quasi in dirittura di arrivo a livello temporale, una serie di discussioni in sede di Consiglio di ministri su argomenti come acqua, rifiuti, bonifiche, valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto ambientale. Ma il codice dell’ambiente non è composto solo da tali elementi. Nella sua sesta parte l’argomento è la tutela risarcitoria contro il danno ambientale. L’istituto del danno ambientale si regge su un solo articolo, l’articolo 18 della legge 349 del 1986 (legge che istituì il Ministero dell’ambiente). Nella fase di applicazione la legge aveva manifestato tutti i suoi difetti, ma con l’intervento interpretativo della giurisprudenza e della dottrina in parte furono superati.

Il codice ambientale così come un qualsiasi testo unico, per essere efficiente ed efficacie deve raggiungere almeno tre obiettivi. Il primo – come già abbiamo avuto modo di sottolineare – è quello di riordinare in un unico testo una serie di leggi di settore sul tema ambiente (norme sull’acqua, sul suolo, sull’aria, sui rifiuti e così via, esistenti), al fine di rendere coerenti fra loro le varie discipline e di fornire un ordine sistematico all’operatore giuridico.

Una operazione di “riduzione a uno” dovrebbe essere compiuta nell’ottica di un miglioramento della disciplina. E allo stesso tempo di un adeguamento alle novità normative comunitarie e anche costituzionali come la riforma del v titolo della Costituzione.
Ebbene - a parere di chi scrive – il codice ambientale e in particolare la sua sesta parte non è riuscito a raggiungere in maniere efficiente ed efficace neanche uno degli obiettivi.

E solo il fatto che a un anno di vigenza del codice già si è sentito la necessità di mettervi mano sia attraverso una sua revisione sia attraverso l’introduzione nel codice penale dei reati ambientali lo dimostra la riduction a unicum è mancata: le singole disposizioni delle specifiche norme di settore sono state incollate e legate assieme senza l’espressa definizione dei principi ispiratori del diritto ambientale.

C’è da dire però che di tale mancanza il governo ne ha preso atto tanto che nel decreto di revisione della parte seconda del codice sono stati introdotti i principi della prevenzione, della precauzione, di chi inquina paga. Peccato che tale parte sia entrata in vigore dal 1 agosto di questo anno tale e quale a come è stata disposta dal ministro Matteoli autore del codice nel 2006.

Ulteriore esempio di mancata chiarezza è il mantenimento della distinzione della disciplina delle bonifiche dei terreni inquinanti (art 242) e delle conseguenze derivanti dall’inquinamento delle acque (art. 139) dalle generali previsioni sulle riparazioni del danno ambientale. La bonifica di per se si presenta come una azione di riparazione e quando è possibili ha effetti ripristinatori dello stato dell’ambiente nei suoi diversi elementi come acqua, suolo, paesaggio ecc.. E allora dove sta la ragione della sua distinzione con il danno ambientale?

Forse una distinzione che poteva essere giustificata in precedenza, quando le singole leggi di tutela si presentavano come autonome fra loro. Ora costituisce solo un ulteriore problema.
Il sistema di tutela ambientale del 2006 ha poi ridefinito la materia cancellando alcuni dei risultati raggiunti. Ma evitare la perdita delle innovazioni conquistate grazie alla normativa, alla giurisprudenza e alla dottrina è un ulteriore obiettivo di un testo unico.

Il testo unico invece ha attribuito al Ministero dell’ambiente un invadente ruolo. Ora le regioni, gli enti locali, gli enti parco e le associazioni hanno un ruolo marginale e non ben chiaro nella promozione delle azioni di responsabilità per danno ambientale. Differentemente da prima, adesso gli enti locali possono presentare denunce e osservazioni e non più promuovere l’azione risarcitoria per i beni sul proprio territorio oggetto del fatto illecito.
Riservare soltanto a questo ministero il compito di vagliare tutte le istanze di intervento provenienti dalle diverse parti della penisola, per minacce di danno ambientale e di attivazione di ipotesi di danni già verificati significa non rendersi conto delle dimensioni del fenomeno.

E neanche l’adeguamento alla direttiva comunitaria 2004/35 relativa alla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale è stato pienamente raggiunto, perchè le norme del testo unico sembrano avere l’unico scopo di il rischio di una procedura di infrazione per mancato recepimento della normativa europea. Ma visto che l’operazione di traduzione è soltanto di tipo formale e non sostanziale l’infrazione è ben evidente.

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