[16/08/2007] Comunicati

La “campagna del nord” dell’orso russo disturba l’Occidente

LIVORNO. Dopo l’esibizione di potenza militare-tecnologica della Russia che ha inviato la nave scientifica "Akademik Fedorov", il rompighiaccio atomico "Rossia" e due batiscafi Mir, a piantare il 2 agosto una eterna bandierina in titanio bianca, rossa e blu nelle profondità del Polo Nord, sta per arrivare al polo una equipe di ricercatori russi che sbarcheranno su un altro pesante tassello di rivendicazione nel bel mezzo dell’Artide: la nuova stazione derivante Severny Polious-35, dalla quale dovrebbero arrivare le prove definitive che il Polo Nord appartiene alla Russia per l’intero immenso triangolo la cui base va dal confine con la Norvegia ad ovest allo stretto di Bering ad est che divide Russia ed Usa. Più o meno 1,2 milioni di chilometri quadrati di fondali, come la superficie di Italia, Francia e Germania messe insieme.

Una rivendicazione che riprende quella dell’Unione Sovietica e che riportare a codificare internazionalmente la situazione del 1920, quando Urss, Usa, Canada, Norvegia e Danimarca si erano divise a spicchi di influenza politico-economica l’Artide, poi sono arrivati Hitler, Mussolini e i giapponesi e la guerra mondiale a sconvolgere tutto e la pace ha portato l’Onu e la sua Convenzione sul diritto del mare che assegna ad ogni Stato in zona economica do 200 miglia nautiche e proclama il resto dell’Oceano Glaciale Artico patrimonio comune dell’umanità.

Ora la Russia, e gli altri, cercano di rimettere tutto in ballo con la pretesa di spostare in avanti le loro piattaforme continentali di altre 150 miglia per accaparrarsi quanto più possibile di quel quarto (o forse anche di un terzo) di riserve mondiali di idrocarburi che giacerebbero sotto i freddi ghiacci che si stanno squagliando.

Ma la “campagna del nord” lanciata da Mosca non piace affatto in Occidente, a cominciare dalla piccola Danimarca padrona dell’immensa Groenlandia che rivendica il Polo Nord per la sua immediata vicinanza conn l’isola artica. Il Canada invece sostiene che la dorsale Lomonossov è sua perché parte dal continente americano e non dalla Russia. La Norvegia è in litigio da sempre con la Russia per 155 mila chilometri del mare di Barents. Gli Usa stanno facendo i salti mortali per poter firmare la Convenzione Onu sul mare, che fino ad ora non gli piaceva, per poter rivendicare anche loro un pezzo di Artide, intanto mandano a dire ai russi che quella bandierina al titanio se la possono anche mangiare, perché per loro non vale nulla.

Di fronte a questo la sonnacchiosa Duma, la Camera bassa russa in attesa di un nuovo presidente-padrone, si sveglia e manda solennemente a dire ad americani ed europei: «vogliamo provare che la Russia è una grande potenza polare». Contro il pericolo russo schiera le sue batterie mediatiche anche una degli organi più accreditati del capitalismo occidentale, il Times di Londra che fa scrivere a Robert Miller, professore dell’esclusiva scuola giuridica privata Lewis & Clark College: «il mondo deve dire di no alle rivendicazioni della Russia concernenti il fondo marino», mentre dall’altra parte dell’Oceano e del continente Americano il Los Angeles Times paragona le «insolenti» rivendicazioni russe a quelle dei pionieri europei ed americani dal XV al XX secolo, quando il principio era «chi arriva primo prende tutto». Un paragone forse un po’ azzardato se fatto da un giornale figlio di quelle invasioni colonialiste.

Scott Borgerson, esperto dell´US Council on Foreign Relations, ha invitato a trovare un «accordo di possesso comune» sull’esempio di quanto sottoscritto alla fine degli anni 1950 per l’Antartide.
Ma dal Washington Times, Ariel Cohen, dell´Heritage Foundation dice: «Se Mosca propone di valorizzare le risorse dell’Artico in partenariato con gli Stati Uniti e altri Paesi, questo progetto potrà servire come esempio di cooperazione internazionale feconda», ma intanto l’Occidente dovrebbe stare molto attento alle mosse russe e contrastarle insieme: «Troppe cose sono in gioco per offrire tutto questo all’orso russo».

Ma Anatoli Kolodkine, presidente dell´Associazione internazionale del diritto del mare e giudice del Tribunale internazionale dei diritti del mare, manda a dire agli inquieti americani che la Russia ha agiti «in stretta conformità con il diritto internazionale. Non importa quale Paese della regione può formulare le sue rivendicazioni – ha aggiunto - ma deve agire nella stessa maniera della Russia, altrimenti detto: deve presentare le prove necessarie per sostenere le sue rivendicazioni». Una interpretazione forse un po’ interessata, visto che Kolodkine è russo…

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