[14/08/2007] Comunicati

Nuove linee guida del ministero, a rischio i corsi accademici ambientali?

LIVORNO. Il 70% dei corsi di laurea di primo livello non raggiunge il minimo di matricole previsto dalle linee guida del ministero dell’università. La stima deriva da un’inchiesta giornalistica pubblicata sul Sole 24 Ore di ieri, che portava ad esempio il corso di laurea in Divulgatore ambientale di Viterbo, a cui spetta il record negativo di matricole, appena 6. Ma al di là dei casi specifici che andrebbero analizzati uno a uno, sono molte le perplessità su queste linee guida volute dal ministro dell’università Fabio Mussi, che danno il via alla riprogettazione integrale di tutti i corsi di laurea di primo e di secondo livello, tra il 2008 e il 2010. Proprio le “Numerosità di riferimento e massima di immatricolati” individuate per gruppi di corsi di studio sono quelle che allarmano maggiormente il mondo accademico, perché in base a questi numeri saranno definiti incentivi e disincentivi nella ripartizione delle risorse da parte del ministero.

Ne abbiamo parlato con Carlo Da Pozzo, direttore del master in comunicazione ambientale dell’università di Pisa (facoltà di Lettere), che mette l’indice subito su questi riferimenti numerali attraverso i quali saranno individuate le ulteriori risorse da prevedere in termini di docenti e di strutture da rendere disponibili nei casi in cui il numero degli immatricolati a un corso di studio sia superiore ai limiti indicati.

«I numeri medi di riferimento sono molto diversi da settore a settore e questo è il primo dubbio di metodo: matematica, fisica, chimica, hanno numeri medi a cui si fa riferimento intorno a 50 iscritti, mentre comunicazione, sociologia, scienze politiche hanno valori di 250. L’area umanistica ha valori intorno 230 e perfino tra genetica e biologia la differenza è abissale. Vorrei capire chi ha fissato quei minimi, che al limite potrebbero essere discutibili ma ragionevoli se si riferissero solo a corsi laboratoriali, ma siccome il riferimento è unico anche per tutte le lezioni frontali, vorrei che qualcuno mi spiegasse perché uno studente di filosofia e uno di matematica debbano avere esigenze così diverse. Bisognerebbe stare attenti, viene il sospetto che con queste linee guida si voglia in realtà mascherare operazioni molto diverse».

A quali operazioni allude?
«Si vuole riproporre questa teoria che il titolo legale provoca rigidità sul mercato: è una storia che va avanti dal 1994, ma in realtà non si vuole fare un’operazione di concetto: è vero che i corsi di laurea sono troppi, ma non è mai stato fatto nulla in concreto per farli diminuire e non si può pensare di farlo ora sulla base degli iscritti. Se si vuole investire sulla qualità della formazione universitaria italiana, ci sono altre cose da guardare rispetto ai numeri, è il concetto di fondo che è sbagliato, la qualità non si fa svalutando i titoli».

In questi ultimi anni sono nati diversi corsi legati alle tematiche ambientali e soprattutto alla comunicazione ambientale, sospinti anche dalle necessità da parte di enti e aziende di figure specializzate. Con queste linee guida è possibile che questo processo venga rallentato?
«A seconda di come saranno valutati i singoli corsi gli daranno o meno dei contributi. Quindi è evidente che conseguenze ce ne saranno anche per i corsi ambientali. Anche se qui entra in gioco un altro dibattito, ovvero se la comunicazione ambientale sia meglio proporla come corso di laurea o come corso post laurea. La scelta dell’università di Pisa è stata chiara fin dall’inizio ritenendo necessario che chi affrontava questa disciplina dovesse avere già una buona preparazione di base, anche perché l’intento è quello di formare esperti veri, che sappiano comunicare i problemi ambientali senza nasconderli o trasformali in minacce che molto spesso non sono reali dal punto di vista scientifico e rischiano di produrre effetto contrario».

Il ministero dell’università parla di queste linee guida come di un provvedimento che allinea il mondo accademico italiano a quello europeo. E’ d’accordo?
«No, andava fatto un discorso di riforma molto diverso concentrato al massimo sul contenuto. Invece in questi mesi più che sul contenuto si è dibattuto sulle forme, invocando il rispetto di norme europee che in realtà sono solo dichiarazioni d’intenti, perché se poi si va a vedere come si opera concretamente nelle università d’Europa il lavoro ben diverso. Ed è per questo che è sbagliato focalizzare tutto sul numero, che può essere momentaneo e legato all’occasione. Bisognava invece puntare sul concetto di ogni singolo corso e fare quelle operazione di riduzione qualitativa che ancora ci ostiniamo ad ignorare».

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