[10/08/2007] Comunicati

Il lavoro in Europa e il cambiamento climatico

BRUXELLES. Nel 2004 il Consiglio Europeo ha chiesto nel 2004 un’analisi dei costi-benefici della strategia Ue in materia di lotta ai cambiamenti climatici, che tiene conto delle questioni ambientali e di quelle riguardanti la competitività, lo studio è stato realizzato tra il 2006 ed il 2007da un consorzio che comprende la Confederazione europea dei sindacati (Ces), gli istututi Wuppertal (Germania) e Istas (Spagna), la Sindex e la Social development agency (Sda) ed é stato finanziato anche dai governi di Italia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Francia e Finlandia

Il rapporto “Cambiamento climatico e occupazione” è diviso in due parti: “impatto del cambiamento climatico” che cerca di determinare l’impatto potenziale sull’occupazione in Europa del cambiamento climatico; “Impatto delle misure di riduzione delle emissioni” che analizza le potenziali implicazioni per l’occupazione delle politiche di protezione del cambiamento climatico nell’Unione Europea.

«Per il movimento sindacale europeo – si legge nel rapporto - la riuscita della messa in opera del Protocollo di Kyoto in Europa e, al di là del 2012, di politiche ambiziose di riduzione delle emissioni come di politiche di adattamento al cambiamento climatico, dipenderà, in larga misura, dalla capacità di mobilitare gli attori chiave, che sono i lavoratori delle imprese, ad utilizzare pienamente il potenziale delle politiche ambientali per la creazione di posti di lavoro di qualità e ad anticipare le mutazioni del lavoro e delle qualificazioni che ne deriveranno, in maniera da assicurare una ripartizione equa dei costi e delle opportunità tra tutti i settori economici e con i lavoratori».

L’impatto globale netto sull’occupazione delle politiche di lotta contro i cambiamenti climatici è stimato dallo studio come «minore e leggermente positivo», anche se ci dovrebbero essere effetti redistributivi importanti, con estesi cambiamenti strutturali e una distorsione della concorrenza a scala mondiale, soprattutto rispetto ai Paesi che non ridurranno le loro emissioni climalteranti.

«A nostra conoscenza – si legge nel rapporto di 222 pagine – gli effetti del riscaldamento climatico sull’occupazione non sono ancora stati studiati in maniera sistematica. Pertanto, é molto probabile che I fenomeni indotti (cambiamento elle temperature e delle precipitazioni, aumento del livello del mare, modificazioni della frequenza degli eventi climatici estremi) avranno implicazioni per l’attività economica e l’occupazione in Europa».

Ma il rapporto cerca anche di rispondere, nella sua seconda parte, alla domanda rivolta dalla Commissione Ue: chi saranno i vincenti ed i perdenti di questi rivolgimenti economici ed ambientali che si preannunciano?

Probabilmente anche un cambiamento climatico avrà effetti sulle attività economiche e il lavoro in Europa ed alcuni settori economici e regioni sono particolarmente vulnerabili.

Le misure dell’Ue per ridurre le emissioni di CO2 intorno al 40% entro il 2030 non distruggeranno il lavoro, ma indurranno modifiche sostanziali nell’offerta e nella domanda e della qualificazione professionale soprattutto in alcuni settori: produzione di energia, trasporti, industrie dell’acciaio e del cemento, edifici e costruzioni.
Il primo capitolo della seconda parte del rapporto analizza le conseguenze potenziali per l’occupazione del riscaldamento climatico in Europa; il secondo presenta obiettivi, ipotesi e metodologie sull’impatto delle misure di riduzione delle emissioni; il terzo capitolo analizza I prevedibili impatti delle misure di riduzioni di CO2 ed altri gas climalteranti sul lavoro; la quarta parte propone raccomandazioni generali o settoriali, di misure e di politiche per promuovere impatti positivi e prevenire gli impatti negative; la parte conclusiva discute delle incertezze e identifica I problemi che meritano un ulteriore approfondimento.

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