[08/08/2007] Parchi

Greenpeace assalta l’allevamento : «No ai tonni in gabbia»

SALERNO. Gli impianti in mare aperto per l’ingrasso dei tonni sono diventati noti al grande pubblico televisivo quando alcuni naufraghi extracomunitari si sono salvati da morte certa su questi atolli artificiali , ma la loro funzione è quella di tenere prigionieri e all’ingrasso i tonni rossi che poi diventeranno in gran parte sushi nei ristoranti giapponesi che richiedono la loro carne, più saporita di quelli oceanici.

Ma secondo Greenpeace le grandi gabbie per l’allevamento hoff shore sono «un’attività distruttiva per la specie e con un impatto ambientale fortemente negativo» e per questo gli attivisti hanno dato all’assalto, insieme a Romina Power, madrina della campagna mare dell’associazione, all’impianto di Cetara, uno degli impianti al largo della Costiera Amalfitana, aprendo uno striscione con su scritto: "Tonni in gabbia, Costiera inguaiata – Stop tuna farming", altri attivisti si sono invece immersi nella gabbia mostrando sagome stilizzate di lische di tonno per far capire quale sarà la prossima fine del tonno rosso nel Mediterraneo, dal gommone appoggio la Power inalberava la scritta "Più riserve marine, più tonni in mare". Ad osservare benevolmente il blitz atteso degli ambientalisti i mezzi navali di Guardia costiera, Finanza, Carabinieri e Polizia.

Ma perché un’azione così spettacolare in mezzo al mare quando proprio sull’allevamento di pesci in mare aperto, che presenta anche un bel po’ di problemi, la stessa Fao punta per diminuire lo sforzo di pesca su stock itticini selvatici in calo pauroso?

«Il tonno rosso del Mediterraneo, quello usato per il sushi, rischia il collasso – spiega Greenpeace - Eppure si continua a pescare ben oltre i limiti, 15.000 tonnellate, stabiliti dalla ricerca scientifica: gli Stati hanno deciso una quota per il Mediterraneo di circa 30.000 tonnellate ma, in assenza di controlli efficaci, se ne pescano oltre 50.000 tonnellate. Questa pesca sfrenata è causata dalla pratica dell´ingrasso del tonno. Dalle reti ("tonnare volanti") i tonni sono trasferiti all´interno di gabbie e fatti ingrassare per qualche mese per essere venduti soprattutto in Giappone dove il tonno grasso è apprezzato per il sushi. In tutto il Mediterraneo gli "allevamenti" hanno una capacità che si avvicina alle 60.000 tonnellate, quasi il doppio della quota ammessa».
E la cosa preoccupa anche l’ex moglie di Albano: «La corsa sfrenata al tonno rosso rischia di finire male, e molto presto: davvero questo pianeta non può più sopravvivere senza sushi? Per me è stato sconvolgente scoprire che i tonni e altre risorse del mare stanno scomparendo – ha detto Romina Power – Per questo ho deciso di sostenere la campagna di Greenpeace e la sua proposta di una rete di riserve marine che permetterà alle popolazione ittiche, e al mare tutto, di rigenerarsi».

Ma l’ingrasso del tonno ha anche impatti sull’ecosistema marino: 225 mila tonnellate di pesci vengono sottratti all’alimentazione umana diretta perché per produrre un chilo di orate o branzini di allevamento ci vogliono 5-8 di mangime, ma per un chilo di tonno occorrono fino a 25 chili. «Inoltre – spiega Greenpeace - gli escrementi dei tonni e il mangime non mangiato possono causare acque torbide e maleodoranti, come denunciato da cittadini e operatori turistici in Italia (Castellammare del Golfo, Vibo Valentia, Corigliano Calabro, Marina di Camerota), Turchia e Malta». Mentre le gabbie in costruzione rischiano di rimanere vuote per il collasso imminente degli stocks di tonno rosso.

Per questo Greenpeace sostiene la proposta del Comune di Maiori di istituire una riserva marina a Capo d´Orso, proprio vicino alla gabbia presa d’assalto: «le riserve marine sono la risposta giusta alla crisi del mare e della pesca – dice Alessandro Giannì, responsabile della campagna mare di Greenpeace - Esse ono necessarie sia lungo la costa che in alto mare, con aree più grandi per tutelare specie migratrici come il tonno. Ma anche fuori dalle riserve dobbiamo usare le risorse del mare in modo razionale. Il mare non può essere considerato la pattumiera della nostra cosiddetta civiltà».

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