[01/08/2007] Comunicati

Senza conoscenza la sostenibilità è un miraggio

LIVORNO. Conoscenza e sostenibilità ambientale: due facce della stessa medaglia. Anzi, non si può sperare e pensare di poter inseguire e applicare una vera sostenibilità ambientale senza conoscenze. Perché la materia non si presta all’improvvisazione. Perché l’ambiente non è solo emozione, usando uno slogan caro a greenreport. Bensì necessità di un approccio scientifico. Quello che purtroppo sta scemando in Italia, paese di poeti e letterati (almeno lo era) che oggi paga il prezzo di questa sua impostazione monolitica.

«Siamo un Paese senza formazione» grida oggi dal Sole24Ore Dario Nicoli, esperto di formazione professionale. «Minore è il valore del diploma per l’occupabilità – dice – maggiori sono le spinte verso la deprofessionalizzazione». Un concetto che argomenta portando come esempio la Sardegna: «Ha deciso di eliminare i percorsi di istruzione e formazione professionale ed è la regione che detiene il più alto tasso di giovani sotto i 24 anni aventi solo la licenzia media (…). In questo modo, impedendo ai giovani di iscriversi ai percorsi di istruzione e formazione professionale per obbligarli a frequentare le attività scolastiche basate su una cultura generalista, la regione ha provocato un aumento di giovani dispersi e demotivati agli studi».

Un punto di vista che rispettiamo in quanto tale. Ma se ha ragione nel lamentare un Paese senza formazione, riteniamo che questa non la si faccia tout court con le scuole professionali. Queste hanno anche la loro logica, ma nel passato recente hanno già mostrato tutti i loro limiti. Dispiace dover farne una questione classista, però purtroppo nelle scuole professionali da sempre ci finiscono i figli delle persone meno abbienti. E questo non va bene. E non va bene perché, come dicevamo all’inizio, c’è un problema di conoscenza e di istruzione. E’ notorio, infatti, che coloro che meglio riescono negli studi post diploma sono quelli che hanno frequentato i licei classici. E non si distinguono all’Università solo nelle materie umanistiche, ma si può dire (forzando un po’) praticamente in tutte le discipline comprese quelle scientifiche.

Il motivo è semplice: in quei licei si insegna il metodo di studio ed è qui la chiave. E’ questo il grimaldello che fa aprire il forziere della conoscenza. Il ministro della pubblica istruzione Fioroni si pone il problema, giustamente, dei troppi ‘debiti formativi’ che accumulano i ragazzi e come soluzione prospetta quella di un ritorno ai vecchi (odiatissimi) esami di settembre. Ma il problema, dal nostro punto di vista, lo inquadra meglio il professor Piergiorgio Odifreddi (repubblica) che spiega: «All’Università prima si faceva la lezione di un’ora, adesso devo interrompere dopo dieci minuti come gli stacchi pubblicitari, devo fare un aneddoto, raccontare una storia, altrimenti gli studenti non reggono. E’ la cultura dominante oggi, è tutta una frantumazione, si va zapping, si naviga».

Forse il professor semplifica per necessità di sintesi di un ragionamento assai complesso, ma di certo bisogna fare i conti con questa realtà. Che porta a una nuova generazione di studenti dalla cultura mordi e fuggi senza alcun approccio, o quasi, critico per non parlare di quello scientifico. La matematica, dice sempre Odifreddi, è una materia che richiede impegno, costanza, non di studiare la sera prima dell’interrogazione. I ragazzi oggi hanno poco allenamento alla concentrazione, alla tenacia». Con questo approccio si può solo immaginare quale atteggiamento queste persone avranno nei confronti dell’ambiente.

Essere ambientalisti oggi, infatti, non significa più «salvaguardia», ma incrocio sistematico dell’economia con l’ecologia. Governare quindi le trasformazioni del mondo in cui viviamo. E questo vuol dire numeri, vuol dire studiare, approfondire, lasciare da una parte la poesia (che resta una parte importante della vita, ci mancherebbe) e puntare sulla prosa (intesa come prammatica). Ma c’è dell’altro. Osserviamo, infatti, che questa mentalità non è solo nelle nuove generazioni, bensì anche in almeno parte di quella precedente. Tant’è che quando si programmano gli investimenti (tra l’altro sempre pochi) per la ricerca, lo si fa indicando genericamente come obiettivo quello dell’innovazione quale che sia.

Quindi ci sono due generazioni a confronto che comunicano sempre meno tra di loro e rischiano comunque, quasi per inerzia, di essere l’una la prosecuzione dell’altra, senza quella discontinuità necessaria richiamata dall’urgenza di riconvertire il modello di sviluppo secondo il criterio direttore della sostenibilità. Obiettivo raggiungibile solo attraverso un percorso che parta dalla formazione fin dai primi livelli scolastici degli individui che poi diventeranno i cittadini adulti di domani e membri anche della futura classe dirigente.

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