[07/03/2006] Consumo

Ancora su produzione, consumi, dematerializzazione, crescita ecc…

LIVORNO. E’ incredibile che a sinistra (la destra non è interessata) non si riesca a scavare a fondo sugli elementi di egemonia oggettiva che contrassegnano il capitalismo del terzo millennio.

Proviamo a ragionare un po’ su questi elementi.

- E’ vero o no che la produzione (nelle società industrializzate occidentali) non ha più di mira (da gran tempo) il valore d’uso? E’ vero o no che non ha più di mira neanche il valore di scambio, bensì il valore simbolico dei beni (vedi le varie griffe...)?

- E’ vero o no che ciò è una necessità primaria per la produzione poiché i mercati occidentali sono saturi e perlopiù, come si dice, di sostituzione? Pensiamo al mercato delle auto, dei telefonini, dei mobili, alla debordanza della pubblicità ecc….

- E’ vero o no che ciò è in sintonia e in rapporto biunivoco con il fatto che, sempre nei mercati occidentali e sempre da chi può comprare, si compra, in gran parte non per soddisfare bisogni bensì per soddisfare desideri (qualcuno ha letto un classico degli anni ’70 di Agnes Heller, "La teoria dei bisogni in Marx")? E che l´atto del comprare è esso stesso agire un desiderio? (vedi indagine Findomestic fra i consumatori europei).

Non vi è tanto un problema di interpretazione dell’economia quanto una necessità di comprendere gli elementi socio-psicologici sui quali si basa questa (storicamente determinata) forma di economia. Ma gli elementi socio-psicologici sono, a loro volta, determinati dai rapporti di proprietà e dai rapporti di produzione (vedi le delocalizzazioni) come ha spiegato lucidamente a greenreport Rossanda.

Ad esempio, il "design for environment" o, per dirla più comprensibilmente, la progettazione per l’ambiente (della quale si dovrebbe nutrire, ed effettivamente si nutre, la dematerializzazione) è un ossimoro. Il design (tecnica + arte) nasce proprio con il bisogno di diversificare e personalizzare i prodotti mettendoli in relazione con la moda e quindi con la prassi del “disuso”, del bene che “non usa più” e quindi va cambiato, gettato prima e a prescindere dal suo effettivo consumo. E´ per questo che la "soft economy" può avere solo un ruolo di mitigazione degli impatti, giammai potrà portare alla sostenibilità.

In questo Ravaioli, che avete intervistato, ha ragione. Il punto è che la predica su un consumo sobrio rimane una predica se non si comprendono i meccanismi profondi che portano l’individuo, nell’atto dell’acquisto di un prodotto, a soddisfare esigenze di integrazione-differenziazione sociale e di comunicazione e non prettamente economiche. Comprendere non significa avallare e/o sostenere.

E se mettiamo insieme queste pulsioni con il principio democratico (chi dice a chi, e con quali strumenti, di comprare cosa e quanto?), allora si vede benissimo che non può esistere, in democrazia, una leva dirigista (decreti e divieti) o illuminista (Rossanda), bensì esiste un problema che evoca la necessità di praticare sistemi di produzione-consumo e valori alternativi desiderabili. Il "processo di trasformazione del mondo non è consegnare al popolo, in forma intellettualmente e poeticamente elaborata, la visione del futuro"... bensì affermare una "filosofia della prassi".

Non c´è bisogno di farla tanto lunga: la fascinazione delle merci è il nocciolo egemonico del capitalismo odierno. E infatti i flussi di migranti hanno un verso. E se tutto ciò è almeno in parte vero, togliamoci dalla testa che questo nocciolo egemonico possa inerzialmente e autoctonamente mettere in atto la propria eutanasia programmando la diminuzione quantitativa dei prelievi, quella della produzione e della produttività, quella dei consumi e... quella dei rifiuti. La dematerializzazione (per unità di prodotto) continuerà come bisogno derivato di una complessiva ascesa quantitativa dei beni da immettere sul mercato a prescindere dal loro uso e consumo. Ma continuerà ad essere un bisogno destinato ad essere insoddisfatto;

Ah! che errore il non aver coltivato l’intuizione di Berlinguer sull’austerità. La sinistra la sta ancora pagando. Ora il compito è improbo ma bisognerebbe almeno partire dagli interrogativi giusti per poter abbozzare qualche “tracciante” di marcia e qualche risposta concreta.

"Cerchiamo ancora"... come diceva Napoleoni. Ma intanto cerchiamo di farci (e di fare) il meno male possibile.

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