[25/07/2007] Comunicati

Ricerca e innovazione: stimolare la curiosità...verso la sostenibilità

LIVORNO. L’ignoranza è una brutta bestia e l’ambiente non ringrazia, anzi. In Italia se ne sa più che qualcosa e oggi la questione torna sui giornali attraverso gli interventi di Luigi Berlinguer, sul Sole24Ore, e di Mario Draghi, su ItaliaOggi. L’ex ministro, e attualmente presidente della Commissione per lo sviluppo della scienza e della tecnologia, propone «un piano pluriennale per inserire nelle scuole veri e propri laboratori didattici ed educativi». Berlinguer sostiene infatti che stiamo vivendo un’emergenza tecnico-scientifica e ritiene che «a questo grave risultato abbia contribuito una profonda insensibilità di certa cultura dominante, che vive di arcaiche nostalgie e vecchie pigrizie, ignora gli aspetti più recenti della cultura giovanile e delle sue fresche e nuove abilità cognitive, non sa nulla del dibattito da tempo in corso nel mondo sui nuovi indirizzi educativi (…), alimenta un rifiuto umorale ed ancestrale per le nuove tecnologie della conoscenza (…)».

A Berlinguer fa in qualche modo eco il governatore di Bankitalia Mario Draghi che, intervenendo al 53° corso di orientamento universitario organizzato dalla Scuola Sant’Anna di Pisa, ha detto: «Sull’innovazione l’Italia segna un particolare ritardo rispetto agli altri paesi europei. E’ un ritardo che riguarda tutti i fattori che favoriscono l’innovazione su cui ho concentrato la mia attenzione. E’ bassa la spesa pubblica e privata in Ricerca e sviluppo; le domande di brevetto depositate presso l’European patent office erano appena sei per 100 mila abitanti, contro 12 in Francia e 26 in Germania nel 2000». E ancora: «il divario con gli altri paesi avanzati è ampio nei livelli di scolarizzazione, particolarmente nell’istruzione universitaria dove solo il 15% dei giovani tra i 25 e i 34 anni è laureato, rispetto al 31% nella media dei paesi industrializzati».

Lo scenario è dei peggiori se si pensa che, per uno sviluppo che abbia come criterio direttore quello della sostenibilità, l’innovazione tecnologica - con ciò che questo significa a livello di finanziamenti/ricerca - è colonna portante. Non c’è e non può esserci sostenibilità ambientale senza ricerca e innovazione tecnologica. Senza che le nuove generazioni abbiano non solo e semplicemente a cuore la questione ambientale, ma che almeno parte di loro investano se stessi, e quindi orientino i loro studi, sulla riconversione ecologica dell’economia.

La Germania lo fa da circa trent’anni. L’Italia arranca dietro chiacchiere e promesse continue di investimento nella ricerca che poi si risolvono quasi sempre in briciole. L’industria segue a ruota, tranne pochi casi virtuosi. E l’ignoranza e il poco (per usare un eufemismo) senso dello Stato e delle istituzioni dilagano anche, e soprattutto, nelle proiezioni mediatiche (un impianto di compostaggio viene raccontato come un inceneritore; un impianto di recupero di inerti viene presentato come pericolo pubblico; un nanogrammo viene dilatato parossisticamente a bomba ecologica; migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi invece non meritano una riga, ecc.....). Bisogna tornare a stimolare, dice Berlinguer, “la curiosità scientifica degli alunni e la consapevolezza critica dei futuri cittadini».

Servirà tempo, perché purtroppo se ne è perso troppo e c’è molto più da costruire che da ricostruire. Anche dalla parte dei ‘maestri’ o comunque degli ‘esempi virtuosi’. Basti vedere in controluce quello che ha dichiarato ieri il nuovo (ennesimo) commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, nonché prefetto di Napoli, Alessandro Pansa. Nel presentare la sua strategia ha infatti reso noto che “all’interno delle Province e della Regione bisognerà creare le professionalità in tema di rifiuti». A proposito, dunque, di ignoranza (non in senso dispregiativo, ma proprio di ignorare un argomento) questo significa che, in 12 anni di commissariamenti ed emergenze in Campania a livello regionale e provinciale, non si è neppure arrivati ad avere personale competente sul tema dei rifiuti.

Le semplificazioni in questo caso non servono, ma è chiaro che tutto sta insieme, anche se il filo conduttore è quello di un totale cortocircuito. L’emergenza tecnico-scientifica porta al ritardo nell’innovazione (specialmente in quella legata all’innovazione di processo e nelle tecnologie ambientali tout court, perché quella di prodotto, invece, funziona alla grande) e ha bisogno di ingenti investimenti. Non si risolve il problema della bassa istruzione con ‘diplomifici’ e ‘laurifici’ perché poi, alla rese dei conti, il foglio di carta non serve in questo caso davvero a niente, se non alle statistiche e a qualche politico di turno. Per incoraggiare le nuove generazioni alla ricerca scientifica c’è bisogno certamente di stimolarne la curiosità, ma soprattutto di far intravedere loro che hanno un futuro lavorativo (inteso anche come ricercatori), se non roseo, almeno possibile. L’esatto contrario di quello che accade oggi dove la parola d’ordine è precariato. Nelle università, come nella vita di tutti i giorni, si naviga a vista. Contratti che vanno dal mese (anche meno) all’anno o due se va bene.

Così si tende ad eliminare – anche da parte della fascia media degli studenti volenterosi – le materie scientifiche attraverso lo studio delle quali si pensa al massimo di finire a fare l’insegnante rigorosamente precario e nomade. Ci sono certamente altri argomenti che completano il quadro, ma in questa situazione sul futuro dell’Italia crescono grosse nubi. Se davvero non si acqisisce che l’economia-ecologica e quindi la ricerca scientifica e quindi l’innovazione di processo e quindi, in una frase, lo sviluppo sostenibile è l’unica strada possibile da percorre, il nostro paese –che continua grosso modo a replicare un modello economico anni ‘50 e ’60 – è destinato al declino o, non volendo cadere sempre nel pessimismo, a ritagliarci il ruolo di paese delle vacanze. Ma perdiamo colpi anche li, come greenreport ha già evidenziato.

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