[09/07/2007] Recensioni

La Recensione. La fine delle certezze di Ilya Prigogine

Quando abbiamo a che fare con sistemi instabili, dobbiamo formulare le leggi della dinamica al livello statistico. Questa impostazione, che il premio Nobel per la chimica (1997) Ilya Prigogine presenta nel 1997 nel suo libro "La fine delle certezze", impone di trasformare in modo radicale la nostra descrizione della natura, perché la fisica viene ad avere come oggetti fondamentali non più traiettorie o funzioni d’onda bensì probabilità.

I processi irreversibili secondo Prigogine descrivono proprietà fondamentali della natura: «Essi ci permettono - scrive - di capire la formazione di strutture dissipative di non equilibrio». Ma tali processi «non sarebbero possibili in un mondo governato dalle leggi reversibili della meccanica classica o quantistica» ed è per questo che Ilya Prigogine introduce il concetto di Freccia del tempo: è impossibile comprenderne l’applicazione introducendo approssimazioni in leggi reversibili rispetto al tempo.

Basandosi sul secondo principio della termodinamica quindi, Prigogine, arriva a dimostrare che in un sistema chiuso come quello terrestre l´uso di risorse non rinnovabili produce rifiuti ed emissioni che non potendo essere smaltiti attraverso i processi naturali accrescono progressivamente il livello di entropia, cioè di disordine della biosfera.

Prigogine sostiene che si deve cambiare la visione della fisica classica ancorata al concetto newtoniano di tempo eterno, cioè di un determinismo assoluto, e in questo libro va alla ricerca dell´alternativa ("una stretta via") tra la fisica classica e la negazione del tempo di Einstein.

Il tempo secondo Prigogine rappresenta una sorta di razionalità e organicità in un universo caratterizzato da sistemi caotici ed entropici. La freccia del tempo è l´immagine proposta in questo libro per disegnare il modo in cui l´autore intende l´evoluzione: il tempo è il risultato della mutevolezza del cosmo ma è allo stesso momento il presupposto stesso dell´universo in quanto ne orienta la caoticità ed imprime ad esso un equilibrio.

Per Prigogine la certezza per eccellenza ormai inesorabilmente finita è sicuramente il cosiddetto big bang: il tempo esisteva già nel vuoto fluttuante prima del Big Bang, ma a uno stato potenziale, in attesa di un fenomeno di fluttuazione, come appunto la nascita dell´ universo. In questo senso, dice Prigogine, "il tempo precede l´esistenza" e in esso potrebbero nascere altri universi. Sulla nascita dell´universo quindi Prigogine propone una tesi originale che "riunisce in sé elementi di entrambe le concezioni cosmologiche tradizionali: la teoria dello stato stazionario di Hermann Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle e il modello standard del Big Bang. La prima sarebbe applicabile al pre-universo, quel mezzo instabile che ha generato il nostro universo, mentre il secondo si applicherebbe in modo specifico al nostro universo".

La conseguenza fondamentale dal nostro punto di vista è che allora non possiamo più credere a un cosmo determinato e prevedibile e questo concetto ha contribuito a individuare due criteri cardine della sostenibilità delle attività umane (non solo dello sviluppo): il primo è che la velocità del prelievo di materia prima dovrebbe essere pari alla velocità di rigenerazione di questa. Il secondo è che, in ogni caso, l´entropia cui è sottoposta ogni attività umana, compresa quindi la trasformazione della materia, non permette a quest´ultima di essere riutilizzata come in un ideale ciclo chiuso. Il famoso "cerchio da chiudere" di Commoneriana memoria insomma, è un paradigma che non si applica più (come osserva Gianfranco Bologna) neanche alla natura, figuriamoci alle attività umane.

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