[03/03/2006] Consumo

Cecchi: «L´ecoefficienza efficace se orienta la produzione su materiali a minore impatto»

FIRENZE. Ci sono questioni importanti che emergono dalla discussione di questi giorni e che riguardano da vicino la nostra regione: i motivi del declino economico della Toscana nel più generale andamento negativo del sistema Italia e come uscirne; il modello di sviluppo toscano e la questione dell’ecoefficienza come soluzione ai problemi quantitativi dello sviluppo e ai problemi ambientali. Sulle ragioni del declino a livello nazionale pesa un sistema di specializzazione produttiva i cui vantaggi comparati sui mercati mondiali si sono concentrati in settori ad alto utilizzo di manodopera poco istruita, relativamente agli paesi di riferimento (Ocse), e a bassa qualificazione (Boeri 2005). Ciò ci espone alla concorrenza dei paesi emergenti sui quali i liberisti hanno spinto perché liberalizzassero i loro sistemi di costo. Tale fenomeno, a livello nazionale, è particolarmente accentuato dalla metà degli anni ottanta non solo per l’accrescersi del dato negativo della nostra posizione competitiva sui mercati internazionali, ma anche per ciò che contemporaneamente accade negli altri paesi di riferimento dove il vantaggio comparato della qualità della manodopera tende invece a migliorare.
Sul modello di sviluppo va detto che tutto ciò non ha consentito alla Toscana, la cui specializzazione era ancor più nei settori del tessile, abbigliamento, pelli, scarpe, mobilio, di fare il passo dal saper fare diffuso e creativo verso più elevati livelli di istruzione e di qualità del lavoro. Ciò è confermato da tutti i dati negativi riferibili alla capacità di assorbimento di manodopera più istruita e l’instaurarsi di un vero e proprio circolo vizioso tra un sistema di specializzazione produttiva con aziende di piccole dimensioni che domanda meno lavoro istruito e meno ricerca e tende a perpetuare una bassa offerta relativa di lavoro più qualificato (Boeri 2005). Ciò colloca la Toscana alcuni punti sotto la media nazionale. Comunque sia, la Toscana, come il resto del paese, ha un sistema produttivo fondato sulle esportazioni, perciò l’uscita dal declino, pur fondandosi necessariamente su una espansione del mercato interno, non può prescindere dal miglioramento delle condizioni di esportazioni e quindi dai vantaggi comparati della specializzazione partendo da ciò che si ha.
Non ha senso fare il tifo per la crescita dimensionale delle imprese o favorire, da parte del pubblico, quel settore o quella filiera. Sarà il mercato a dire come il sistema economico e produttivo toscano si riposizionerà nella divisione internazionale del lavoro e dei prodotti. Sulla base di quali criteri e strumenti decisionali il pubblico potrebbe decidere di aumentare la dimensione delle imprese o favorire un settore invece che un altro? Non scherziamo. Oltretutto l’Europa non lo consente. Al sistema pubblico, invece, spetta il compito di attivare misure orizzontali in istruzione e qualità del lavoro (agire sul ritardo del capitale umano in stretto rapporto a nuove tecnologie e ricerca applicata), della formazione e della ricerca di base, evitando la dispersione in mille rivoli dei pochi fondi disponibili, attuando la concentrazione in poche e selezionate azioni orizzontali strategiche, associandole a politiche per consumi meno elevati dell’energia, maggiore qualità ed efficienza nei trasporti, regimi fiscali che premino gli investimenti, il sostegno alla nascita e la crescita di nuove imprese. Una coerente politica di programmazione per fattori di innovazione e di sistema che destini gli investimenti pubblici in istruzione/formazione, Ricerca e sviluppo e infrastrutture versatili e flessibili. Attivare cioè un complesso di misure orizzontali dal lato della domanda, di sostegno all’innovazione di eccellenza, alla formazione professionale in impresa, all’internazionalizzazione delle pmi e contemporaneamente sull’offerta di capitale umano attraverso maggiori investimenti in istruzione soprattutto avanzata e in Ricerca, di base, veri ed efficaci ammortizzatori sociali. Tutto questo è politica industriale anche a livello regionale. Ma la responsabilità della competitività industriale e settoriale deve restare delle imprese che se ne devono assumere tutto l’onere e non reclamare assistenza.
Infine la questione dell’ecoefficienza. Solo apparentemente essa è la soluzione di nostri problemi di mercato e ambientali. Infatti l’ecoefficienza di un prodotto (relativa) può aumentare in virtù di investimenti e innovazione, ma se di quei prodotti se ne producono molti di più (in virtù proprio della maggiore efficienza che spinge a sostenere la domanda di quello stesso prodotto) l’ecoefficienza assoluta si riduce in virtù degli aumenti assoluti dei consumi di materia energia e di rifiuti da smaltire. E infatti tutti dati di tendenza delle emissioni e delle pressioni del sistema economico e produttivo toscano sull’ambiente sono negativi comprese le emissioni di CO2, nonostante il rallentamento dell’economia, nonostante la deindustrializzazione e gli indubbi miglioramenti ambientali dei distretti industriali. Questo dipende dall’assenza di politiche adeguate da parte del sistema delle imprese. L’ecoefficienza può avere un ruolo efficace se orienta la produzione su materiali succedanei o sostitutivi a minore impatto a ambientale, ma ciò richiede investimenti in ricerca e innovazione. Evidentemente anche il sistema pubblico non ha messo in atto politiche appropriate nonostante i grandi investimenti dell’ultimo decennio, forse anche qui c’è molto da riformare.

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