[03/07/2007] Rifiuti

Resta irrisolto nell´Ue il problema della definizione di rifiuto

LIVORNO. Il 28 giugno il Consiglio dei ministri dell’ambiente Ue ha raggiunto le prime intese su tre provvedimenti relativi alla riforma delle norme sui rifiuti. La proposta in materia è destinata a sostituire e raggruppare in una unica tre direttive già in vigore come la direttiva quadro sui rifiuti, quella sui rifiuti speciali e quella sugli oli combustibili.

La direttiva quadro sui rifiuti (2006/12/ce) è in vigore dal 17 maggio 2006 e ha abrogato, a partire dalla medesima data, la direttiva 75/442/Cee – con tutte le modifiche intervenute fino ad oggi - cioè quella recepita dal Decreto Ronchi. Ma è esattamente identica alla precedente e sembra in realtà un richiamo al rispetto dei principi comunitari. Un tentativo, cioè, di spingere tutti gli Stati membri verso una gestione dei rifiuti “europea” tesa soprattutto alla tutela della salute umana.

Nella parte motivata della direttiva si legge, infatti, che essa trae origine da una serie di motivi, primo fra tutti la necessità di adottare una terminologia e una definizione di rifiuti comune in tutto lo spazio economico europeo perché, secondo il legislatore comunitario, la disparità tra legislature incide negativamente non solo sullo stato dell’ambiente, ma anche su quello del mercato interno.

La gestione dei rifiuti della direttiva non si distanzia affatto dalla precedente ed infatti non risolve uno dei problemi cardine in materia cioè quello della definizione di rifiuto. Si definisce il rifiuto come “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nella categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”. Quindi, secondo il legislatore europeo per individuare l’esistenza del rifiuto è necessario da una parte identificare se il residuo appartenga all’elenco e dall’altra considerare la volontà di disfarsene. Ecco che nascono, però, le prime difficoltà. Nell’elenco dei rifiuti compaiono 15 categorie più una di carattere generale “Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nella categoria sopra elencata”.

In pratica tutto può essere rifiuto e di conseguenza per dire che un residuo è rifiuto è necessario basarsi sull’altro elemento; in particolare sul significato da attribuire al termine “disfarsi”. Una prima indicazione è rinvenibile nell’elenco delle operazioni di smaltimento e di recupero contenute dalla stessa direttiva ed in particolare dalla scelta del produttore del rifiuto di avviarlo ad una delle operazioni previste in uno degli elenchi. Ma ciò non risolve il problema quando una sostanza non è avviata a nessuna delle operazioni di smaltimento o recupero individuate ovvero quando il residuo è riutilizzato in un procedimento industriale senza essere oggetto di nessuna preventiva operazione di recupero.

E questo è il limite che la disciplina europea in via prioritaria dovrebbe risolvere: se non si sa cosa si possa considerare come rifiuto come è possibile adottare da parte degli stati una gestione del rifiuto comune secondo i principi comunitari?

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