[03/07/2007] Comunicati

L’Italia senza ricerca non è sostenibile

LIVORNO. Il problema lo ha posto, da par suo, il sociologo Luciano Gallino nel nuovo libro, Tecnologia e democrazia, appena uscito per i tipi della Einaudi. Stiamo entrando nella «società della conoscenza». Una società nella quale il valore dei beni e delle tecnologie che compriamo e vendiamo dipende sempre più dai volumi «senza fine crescenti di conoscenza scientifica». E le industrie più competitive non sono più quelle ad alta intensità di lavoro (labor intensive), ma quelle ad alta intensità di conoscenza (knowledge intensive).

Tutto ciò non avviene senza problemi. Anzi. Le disuguaglianze nel mondo crescono e aumenta anche l’impronta umana sull’ambiente. D’altra parte non ha forse parlato di promesse infrante l’economista Joseph Stiglitz, analizzando il fenomeno della nuova globalizzazione fondata sulla conoscenza? È, dunque, lecito chiedersi come fa Gallino se la «società della conoscenza» sia economicamente, socialmente, ecologicamente e persino democraticamente sostenibile.

Ed è quindi giusto chiedersi, alla luce dell’allarme (ri)lanciato da Luciano Gallino se l’Italia – facendo, come è noto, una certa fatica a entrare nella società della conoscenza a causa dei suoi scarsi investimenti in ricerca scientifica e della sua specializzazione produttiva, rivolta verso le medie e basse tecnologie – non si trovi avvantaggiata in una (o in tutte) quelle sostenibilità.

Lungi da noi cercare di rispondere, in questa sede, all’insieme delle domande. Ma con una conviene misurarsi subito. La relativa arretratezza italiana è ecologicamente più sostenibile della modernità del resto d’Europa e di una parte sempre più estesa del mondo?

Nel rispondere chiediamo in prestito qualche dato e qualche argomento a Sergio Ferrari, già dirigente dell’Enea e coautore di un periodico e prezioso rapporto sulla competitività del sistema Italia (FrancoAngeli editore).

Che il nostro paese fatichi più dell’Europa nella crescita economica è un fatto. Negli ultimi tre lustri il reddito pro-capite è venuto costantemente diminuendo rispetto alla media europea. Era di 6 punti più alto della media all’inizio degli anni ’90, è inferiore di 8 punti oggi: con una perdita secca di 14 punti percentuali. In questi anni l’economia italiana è cresciuta in termini assoluti meno che negli altri paesi dell’Unione.

Che l’Italia fatichi a entrare nell’economia fondata sulla conoscenza è un altro dato di fatto. Gli italiani sono consumatori di alte tecnologie come gli abitanti di tutti gli altri paesi europei. Ma, diversamente da altri nostri partner dell’Unione, produciamo pochi beni hi-tech. Cosicché la nostra bilancia dei pagamenti nel settore più dinamico dell’economia mondiale è in rosso e tende costantemente a peggiorare.

Ebbene, in questa Italia che stenta a entrare nell’economia della conoscenza anche il quadro ecologico peggiora. L’intensità energetica del sistema paese, infatti, è leggermente aumentata in questi anni. Per produrre una medesima unità di ricchezza tendiamo a consumare addirittura più energia che una decina di anni fa. Mentre l’intensità energetica dell’Europa è nettamente diminuita: i nostri vicino sono diventati più efficienti. Tanto che oggi l’intensità energetica italiana risulta, per la prima volta dopo decenni, superiore a quella media europea.

Siamo, così, sia tra i paesi dell’Unione più lontani dagli obiettivi di Kyoto, come ci ha ricordato di recente la Commissione di Bruxelles, sia tra i paesi europei che hanno un saldo commerciale fortemente e stabilmente negativo nelle tecnologie energetiche per l’uso di fonti rinnovabili è negativo.

In altri termini, non essendo riusciti a produrre sviluppo sostenibile attraverso la ricerca, siamo costretti ad acquistare all’estero l’alta tecnologia necessaria per rispettare i nostri impegni ecologici presenti e futuri nel settore strategico dei cambiamenti climatici e dell’energia. Cosicché noi ci impoveriamo a vantaggio di altri che invece si arricchiscono.

Due cose, a questo punto, sono certe: la «società della conoscenza» non è di per sé sostenibile. Ma proprio l’Italia dimostra che la «società senza conoscenza» stenta ancora di più a raggiungere parametri accettabili di sostenibilità ecologica. Di fronte a noi, dunque, abbiamo una sola strada. Stretta, difficile, ma senza alternative: l’Italia deve entrare nella società della conoscenza e dare il suo contributo per renderla più democratica.

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