[02/07/2007] Monitor di Enrico Falqui

Dordrecht è vicina...

Nel 1863 Jules Verne scriveva un piccolo romanzo di anticipazione fantastica, "Parigi nel 20° secolo" che, abbandonato per più di un secolo, venne riscoperto solo nel 1994, in coincidenza con l’avvento del difficile processo di unificazione europea e del mutamento del ruolo degli Stati nazionali.

Con incredibile chiarezza Verne scriveva: "gli uomini del 1960 non si stupivano più alla vista di quelle meraviglie; ne usufruivano tranquillamente senza gioia...poiché si intuiva che il demone della prosperità li spingeva avanti senza posa e senza quartiere".
Le immagini evocate allora da Verne, riferite a una città che proprio nel 19° secolo aveva visto una straordinaria trasformazione urbana, sembrano avere il tono di terribili profezie ma in realtà prefigurano una sorta di progetto urbano redatto su un tempo assai lungo, che coinvolge non solo la forma urbana ma anche la struttura sociale della città, quello che definiamo l’urbs e la civitas. Anche il romanziere Robert Musil ci ha reso conto, al volgere del secolo, della trasformazione dell’esperienza urbana e dei mutamenti avvenuti nelle grandi città europee come Parigi, alcune capitali di Stato e , per altre, di impero.

Entrambi avevano colto il mutamento dei rapporti tra forma e organizzazione delle grandi città europee in rapporto ai grandi mutamenti dello Stato alla fine del 19°secolo.
Analogamente, oggi, con l’istituzionalizzazione dell’Unione Europea, emerge un livello di organizzazione delle regole del gioco che si impone progressivamente disegnando, come aveva previsto Max Weber, una città concepita come società locale integrata, come una formazione sociale complessa. Di conseguenza, il fatto di interessarsi allo sviluppo delle città contemporanee non comporta, in termini metodologici, che si rinunci all’idea di società locali o di attori collettivi, malgrado il contesto sia completamente diverso.

In passato, l’organizzazione di autorità locali è stata ampiamente determinata dal contesto nazionale: eppure, oggi, la "decostruzione" della categoria "società nazionale" è all’ordine del giorno, nonostante che il processo di unificazione politica dell’Europa (rispetto al 1994) abbia ridotto la sua capacità attrattiva e la confusione dei poteri decentrati sembri produrre anarchia e debolezza del potere centrale.

Tutto ciò serve per affermare che non deve suscitare "paura" o "preoccupazione" il fatto che la costruzione di un nuovo rapporto tra Stato nazionale e Unione Europea comporta la disarticolazione del ruolo, della forma e dell’organizzazione territoriale delle città europee, dal momento che essa muta sia la composizione sociale sia l’organizzazione economica delle comunità locali, grandi o piccole che esse siano.

Ovviamente meno complesse sono le comunità locali esposte a questo genere di trasformazioni della struttura e dell’economia della città, più semplice sarà la composizione dei conflitti che, inevitabilmente, queste trasformazioni trascinano con sé.

Ciò che invece diventa estremamente più arduo e più difficile, in questo nuovo contesto di relazioni tra Europa, Stati Nazionali e Regioni europee è la previsione di una mutazione futura del luogo o, meglio, la previsione del sistema di relazioni alle quali un organismo, a qualsiasi scala architettonica e urbanistica, e il suo contesto sono chiamati a partecipare.
Anche il famoso architetto Leon Krier è convinto che : "...le città del futuro non si conformeranno ad una singola e unificata visione, sia essa di qualunque genere".

Insomma, è assai realistico prevedere che gli strumenti urbanistici tradizionali non reggeranno sia alla sfida previsionale della tipologia futura delle trasformazioni urbane, sia all’attuale sempre più evidente distanza che intercorre tra gli obiettivi del Piano, a medio e lungo termine, e quelli dei Progetti, capaci di avere effetti insostenibili con l’ambiente e il paesaggio urbano se non resi coerenti con gli obiettivi del Piano.
Ogni territorio urbano avrà una sua specificità sia nel campo dello sviluppo, sia nel campo dell’ecologia urbana e del paesaggio; le trasformazioni urbane avranno bisogno della partecipazione attiva dei cittadini per non rimuovere le identità locali, ma anche per suscitare un interesse attivo verso il futuro di ciascuna città.

Citiamo come esempio l’Olanda, dove a metà degli anni 70, si era verificato uno scontro (a lungo esaltato dai giornali dell’epoca) tra la politica urbanistica di governo e le preferenze abitative dei singoli cittadini. In quegli anni, a causa di un benessere sempre maggiore, la maggior parte dei cittadini olandesi non volevano vivere in alloggi standard prefabbricati in un contesto rigidamente pianificato di verde pubblico. Essi volevano vivere nel verde ma in case unifamiliari con accesso indipendente, sia anteriore che posteriore, all’interno di un giardino privato.

Va ricordato, a questo proposito, che i Paesi Bassi sono il paese europeo più densamente popolato (dopo Malta), avendo raggiunto nel 2005 una popolazione di 17 milioni, circa il doppio di quella degli anni ’50.
Lo Stato olandese pensava allora di aver trovato la risposta giusta adottando un’urbanistica “verticale” con funzioni pubbliche (come negozi, parcheggi coperti e verde) concentrati in poche zone, come si vede ancora oggi nel quartiere di Bijlmer ad Amsterdam.
Quarant’anni dopo risultò invece che non era assolutamente così; ben pochi dimostrarono interesse verso quel progetto di urbanistica razionalista denominato “Alloggi del Futuro”; molti di quegli appartamenti furono assegnati, a causa di questa indisponibilità, a immigrati del Terzo mondo mentre gli olandesi preferirono un alloggio unifamiliare fuori Amsterdam.

Oggi, in Olanda, non si fa che parlare di Dordrecht, città che giace tra il mare ad ovest e le città industriali della Germania ad est, all’incrocio tra tre fiumi navigabili che si gettano nel Mare del nord. Collegata a Rotterdam, il grande porto commerciale europeo, da un sistema di traghetti, è divenuta in poco tempo un “nodo” del trasporto europeo, attraverso le sue vie d’acqua e le autostrade che la collegano a tutti i porti commerciali dei paesi europei.

Nonostante queste trasformazioni urbane, indotte dal nuovo trattato europeo di liberalizzazione dei commerci, Dordrecht ha iniziato una cooperazione strettissima con i comuni della regione (Drechtsteden), creando una vera e propria rete di città , ciascuna delle quali svolge un ruolo “ urbano” (nei servizi, nei commerci, nei trasporti, nell’uso delle energie rinnovabili) in modo da produrre “sviluppo” senza crescita dell’espansione urbana, aumentando invece la vivibilità dell’ambiente urbano e la qualità ecologica del paesaggio e riducendo drasticamente l’inquinamento ambientale.

La regione è oggi divenuta famosa con lo slogan "l’Olanda in formato tascabile" e il retroterra di Dordrecht, punteggiato da piccoli centri urbani tipicamente olandesi, tutti vicini tra di loro, da poter essere raggiunti da un efficiente sistema integrato treno-bus-bicicletta (tutte trasportabili su treno e autobus olandesi !!). Il parco nazionale De Hollandse Biesbosch, i mulini di Kinderdijk, e il tipico paesaggio dei polder dell’Olanda, entro cui queste piccole città sono immerse, garantiscono i visitatori (divenuti oltre 15 milioni, negli ultimi 5 anni) nella scoperta non solo di spazi aperti ma anche della cultura e della storia di questa regione, sicuramente la più bella d’Olanda.

Qui, non ci sono cittadini che si battono contro i rotori eolici, poiché essi ritengono conveniente e vantaggioso per la comunità ridurre l’impronta ecologica delle città; i cittadini hanno chiesto e ottenuto che l’architettura dei rotori eolici e il loro inserimento nel paesaggio vengano progettati dalla celebre università del paesaggio di Vaagheningen; i mulini a vento fanno parte della cultura e storia di queste popolazioni, anche se hanno cambiato forma e dimensioni; nessuno si sogna di chiamarli “cazzi eretti nel paesaggio”, come ha fatto recentemente Vittorio Sgarbi in una recente trasmissione televisiva.

I polder sono un esempio di progettazione del paesaggio costruito dall’uomo su terre che originariamente appartenevano al mare.
Tuttavia, anche se sembra un paradosso, Dordrecht è divenuta il simbolo di una città che ha accettato la sfida del cambiamento inevitabile del suo ruolo, indotto dal mutamento del rapporto tra Europa, Stato olandese, regione del Drechtsteden e sta cercando di realizzare uno sviluppo sostenibile chiamando cittadini e Istituzioni locali a contribuire alla sua realizzazione, senza rinunciare alla difesa dell’ambiente e del paesaggio, ma offrendo un’ appetibile prospettiva a centri minori, una volta definiti marginali, oggi pienamente inseriti in un nuovo circuito di sviluppo virtuoso ed attivo.

Quali ragioni inferiori (sicuramente diverse) la Toscana possiede oggi per non riuscire ad accettare la stessa sfida del mutamento europeo e a coglierne le opportunità per progettare sviluppo e trasformazione delle proprie città e del proprio ambiente, in ossequio all’ecologia urbana e all’ecologia del paesaggio? Quali ricchezze naturali inferiori e beni storici minori possiedono alcune città portuali della costa toscana (Livorno, Carrara, Piombino) da non poter cogliere le stesse opportunità di diversificazione dello sviluppo della città olandese, in connessione con le trasformazioni future prodotte dal mercato unico europeo dell’energia, dal trasporto europeo delle merci e dal nuovo imponente mercato unificato (Ovest e Est) del turismo europeo?

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