[27/06/2007] Comunicati

Quando la ricerca scientifica si ispira alla natura

LIVORNO. La ricerca scientifica deve ispirarsi maggiormente alla natura. Il dirigente di ricerca del Cnr - istituto di Biofisica, Francesco Lenci (Nella foto), ritiene che in molti casi i processi evolutivi naturali abbiano selezionato e messo a punto sistemi di elaborazione delle informazioni talmente efficienti, che il loro studio permette non solo l´avanzamento delle conoscenze di base (determinanti per qualsivoglia reale progresso scientifico e tecnologico), ma in alcuni casi anche la progettazione e la messa a punto di sistemi artificiali.

Professor Lenci, innanzitutto due parole per spiegare cos’è e di cosa si occupa l’istituto di biofisica del Cnr di Pisa?
«L´istituto di Biofisica è un istituto del Cnr "polisede" (Genova, Milano, Trento, Pisa e Palermo), nato dalla fusione di istituti e centri del Cnr agli inizi degli anni duemila. In estrema sintesi, le missioni dell´istituto sono l´acquisizione di nuove conoscenze sulla struttura e sui meccanismi funzionali dei sistemi biologici in stretta collaborazione con settori di punta delle scienze biologiche e mediche quali biologia molecolare, bioenergetica, bioinformatica; conseguente sviluppo di competenze per la realizzazione di prodotti applicativi quali bio-dispositivi, bio-sensori, test di biocompatibilità, screening di farmaci, algoritmi di analisi e prototipi per l´acquisizione di segnali biomedici, protocolli di monitoraggio di impatto biologico ambientale».

Cosa significa quando sostiene che la ricerca scientifica deve ispirarsi alla natura?
«In realtà io mi limito a pensare che in molti casi i processi evolutivi naturali abbiano selezionato e messo a punto sistemi di elaborazione delle informazioni (segnali del tipo più diverso: luminoso, chimico, meccanico,...) che provengono dall´ambiente esterno o di utilizzo dell´energia (la luce solare, per esempio) molto efficienti, a basso rumore, con bassa o nulla fatica (il ripetersi della prestazione non determina abbassamento delle capacità operative del sistema). Sono diversi i diversi processi naturali, lo studio dei quali permette non solo l´avanzamento delle conoscenze di base (determinanti per qualsivoglia reale progresso scientifico e tecnologico) ma, in alcuni casi, anche la progettazione e la messa a punto di sistemi artificiali: dai sistemi supramolecolari fotoregolati che "mimino" i sistemi fotosintetici naturali, alla realizzazione di retine artificiali (elettroniche), allo sfruttamento delle proprietà molecolari e fisiologiche dei recettori olfattivi per la messa a punto e la costruzione di "nasi artificiali" (utilizzabili nei campi più diversi: dal controllo ed il monitoraggio della qualità di oli e vini alla rilevazione e localizzazione di mine antiuomo). In alcuni casi si è arrivati alla progettazione e realizzazione di dispositivi artificiali che mimano il comportamento di sistemi biologici naturali perché si cercava di fare dei "modelli". Quando un sistema biologico è molto complicato, troppo ricco di componenti, si può cercare di farne un modello, semplificato e con un numero di componenti più basso. Naturalmente la scelta del "modello" deve essere fatta con molta cautela, ad evitare di fare lavori i risultati dei quali non hanno poi alcuna rilevanza dal punto di vista biologico e, magari anche di scarso valore scientifico».

Il fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (First) del ministero dell’Università e della ricerca sarà da quest’anno un contenitore unico, sostituendo i vari fondi destinati alla ricerca di base, a quella industriale e a quella universitaria. La novità è stata introdotta dalla finanziaria 2007, che ha assegnato per i prossimi 3 anni 960 milioni di euro (300 in questo primo anno). Cosa ne pensa delle novità introdotte sulla ricerca?
«Personalmente considero la Finanziaria 2007 una "mazzata" al già barcollante sistema ricerca del nostro Paese. Aspetto, più con preoccupazione che con speranza, la Finanziaria 2008. Io credo che in questo Paese si parli, si rilascino dichiarazioni altisonanti e si dibatta a lungo sul valore e l’importanza della ricerca scientifica, e poi si faccia poco o niente. Le ricerca nel nostro Paese non solo non sembra essere una priorità nazionale, ma spesso si ha decisamente l’impressione che nel nostro Paese si faccia ricerca “nonostante” quanti la ricerca dovrebbero promuovere e sostenere. Basta pensare al fatto, tra i tanti, che dopo aver profuso risorse finanziare ed umane per formare un “giovane” ricercatore ed aver costruito un patrimonio culturale e professionale, si butta tutto via perchè il “giovane” non può continuare a fare il “precario” o perché (nei casi fortunati) trova una collocazione soddisfacente magari all’estero. Sta di fatto che – a mia conoscenza – i giovani formati alla ricerca nei gruppi italiani e che poi “espatriano” vengono considerati dai nostri Colleghi stranieri una vera manna: collaboratori di valore già formati per la formazione dei quali non hanno speso un euro. Al di là di qualunque considerazione etica, nessuna impresa che avesse a cuore il proprio vantaggio ed il proprio interesse agirebbe in maniera così dissennata».

La ricerca in Italia è quasi sempre finanziata dalle grandi imprese, che investono quindi laddove un futuribile bene o servizio ha spazi di mercato, o dove comunque le innovazioni consentono un risparmio economico (e solo conseguentemente di energia e in rarissimi casi di materia). La cosiddetta ricerca di base invece potrebbe essere effettivamente orientata dal pubblico verso criteri di sostenibilità ambientale. Quali prospettive ci sono per la ricerca di base?
«La tecnologia avanzata ed innovativa è il punto di arrivo di un lungo processo che non può non muovere dalla “produzione di conoscenze” e il privilegiare l’investimento di risorse in attività con immediate ricadute applicative, non solo penalizza la ricerca fondamentale, ma in tempi relativamente brevi viene anche a svuotare di competitività e potenziale innovativo la stessa ricerca applicata. La ricerca di base e gli studi fondamentali non costituiscono soltanto un insostituibile patrimonio che contribuisce in maniera decisiva alla crescita culturale del Paese ed un non surrogabile strumento di formazione professionale di nuove leve di ricercatori e scienziati, ma anche un prerequisito per lo sviluppo tecnologico e produttivo ed il conseguente benessere del Paese. La ricerca fondamentale, per sua natura libera ed a “rischio conoscitivo” deve svilupparsi grazie a finanziamenti pubblici, condizionati non da aspettative applicative, ma da provata e provabile qualità della ricerca. Ed è solo con la produzione di conoscenze che il sistema ricerca del nostro Paese può essere trainante anche rispetto al sistema industriale, evitando perniciosi subordinamenti a sistemi produttivi caratterizzati da visioni a breve termine o addirittura di mera sopravvivenza. Purtroppo oggi in molti casi si riesce a fare attività di ricerca solo grazie a “finanziamenti esterni”, “per progetti”. In queste condizioni il progetto non è un’occasione di utilizzo e potenziale ampliamento/approfondimento di competenze e professionalità, ma uno strumento di mera sopravvivenza. Questo modo di fare ricerca riduce in concreto a zero la possibilità di formare nuove leve di ricercatori. Non è pensabile che un giovane ricercatore possa costruirsi una solida e ampia base culturale e professionale essendo costretto a lavorare con l’obbligo di raggiungere obiettivi specifici (spesso collaterali, o addirittura lontani, rispetto al tema di ricerca principale del gruppo) in tempi imposti da interessi non necessariamente compatibili con le esigenze di ricerca e spesso dovendo passare da una tematica ad un’altra, magari anche assai diversa, nel corso di pochi anni. Per tutti – giovani e no - dover fare “ricerca per progetti”, applicando (magari in tempi ristretti) conoscenze già acquisite, può essere causa di depauperamento – o per lo meno congelamento – di capitale culturale e intellettuale e comportare rischi di approssimazione e “dilettantismo”».

Un’ultima domanda riguarda la comunicazione scientifica. Non pensa che sia troppo chiusa in sé stessa? E che abdichi il ruolo della divulgazione verso l’opinione pubblica a “mediatori” esperti in altri campi ma non in quello scientifico (ad esempio giornalisti, politici, medici, comitati… e addirittura comici)?
«Sono abbastanza d´accordo con lei, ma non completamente. Di strumenti che fanno rigorosa divulgazione scientifica nel nostro Paese ve ne sono: dalla più antica rivista di divulgazione scientifica, "Sapere", a "Le scienze" alle tante iniziative nelle scuole. Paradossalmente, accanto al fattivo disinteresse nei confronti dei problemi della ricerca al quale accennavo nella risposta precedente, si hanno numerose iniziative e manifestazioni pubbliche - non solo pregevolissime dal punto di vista scientifico, ma anche di grande successo pubblico – dedicate alla scienza (settimane e giornate della scienza, conferenze…). Purtroppo sembra, spesso, che anche per la ricerca avvengano contaminazioni di tipo spettacolaristico, una specie di “Suoni e luci” sulle meraviglie della scienza, senza che niente in concreto venga fatto».

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