[11/06/2007] Recensioni

La Recensione. In cosa credono gli ecologisti di Joe Smith

Non è certo una novità che il movimento ecologista affondi le sue radici nel passato, in oltre un secolo di riflessioni filosofiche, scoperte scientifiche, danni ambientali e trasformazioni socio economiche. Così come non lo è che il punto nodale del pensiero degli ecologisti odierni sia il rapporto fra sviluppo economico e degrado ambientale.

L’autore illustra, in più di tre decenni, come il movimento ecologista (nel quale per maggiore praticità comprende l’intero spettro: “dai piccoli gruppi di attivisti radicali ai partiti politici verdi, dai gruppi ambientalisti che lavorano con aziende e governi agli ecologisti da poltrona e a tutte le altre possibili posizioni”), si sia sviluppato, quali i traguardi raggiunti e quali quelli ancora da conquistare.

Se la prima grande fioritura di pensiero ed azione ecologista nasce in risposta all’esplosivo sviluppo del tardo ottocento causa della rapida urbanizzazione e della crescita del consumismo, una seconda fase si apre con il boom economico della seconda guerra mondiale dove il crescente inquinamento e le nuove scoperte scientifiche contribuiscono a creare una nuova coscienza ecologica moderata. L’inquinamento da attività industriale, l’utilizzo di elementi chimici frutto della ricerca scientifica, il verificarsi di grandi catastrofi ambientali e la crisi petrolifera del 1973 permettono agli ecologisti di dimostrare come il benessere del mondo sviluppato è stato pagato a prezzo troppo caro dal modo naturale e dalla salute umana. Fatti che ammettono di affermare, inoltre, come la stessa sopravvivenza dell’uomo dipenda dalla capacità di comprendere il circolo vizioso che lega la crescita economica allo sfruttamento delle risorse ed alla conseguente crisi.

Gli eventi e gli studi scientifici degli anni 80 e 90 danno nuova credibilità al pensiero degli ecologisti, ed è proprio in questi tempi che vengono presi i primi provvedimenti legislativi a livello globale sui cambiamenti climatici.

Del resto, è nel secolo xx che l’impatto della accresciuta popolazione umana, l’aumento del benessere e l’uso diffuso di nuove tecnologie assumono una tale rilevanza da rendere progressivamente evidente - da prima nei paesi sviluppati poi, negli altri - la necessità di una risposta comprensiva e organizzata.
“L’ossessione della crescita economica è stata probabilmente la più importante idea del Ventesimo secolo” - afferma J. R. McNeil, uno dei pilastri della visione ecologica - ed è evidentemente la prima causa dei problemi ambientali.

Una società sempre più schiava della crescita economica a costo di mettere a repentaglio la vita della comunità locale e globale, spinge il movimento ecologista a ripensare il sistema economico e il concetto di sviluppo. Ed a questo va il merito di aver individuato i limiti delle teorie economiche tradizionali con la loro visione parziale e la loro ristretta prospettiva fornita dagli indicatori economici e di aver considerato l’ecologia, la società e l’economia come un sistema integrato. Se questi i risultati e se questa la costante pressione del movimento sui governi e sul mondo economico comunque l’inversione di tendenza non vi è stata.

Ai buoni propositi non sono seguite altrettanto buone azioni. Proprio gli ecologisti hanno reso talvolta difficile ascoltare alcune delle più importanti ed innovative idee della nostra era: si sono giovati della comunicazione e dei mass media alimentandoli con le continue predizioni di catastrofi ecologiche, sociali e globali legando l’imminenza del rischio con la necessità di darsi dei limiti ed abbracciare l’astinenza dai piaceri della vita moderna; sono rimasti in parte fuori dalla politica, ma hanno fornito un nuovo strumento di retorica ai capi di stato, amministratori e imprenditori che ha giustificato il loro immobilismo; hanno demonizzato alcune innovazioni tecnologiche non percependone gli elementi favorevoli come la possibile creazione di reti globali di sorveglianza ed azione.

Per non parlare, poi del costante dibattito improduttivo all’interno del movimento fra riformisti e radicali. Oltre a dimostrarsi analisti e commentatori acuti del mondo politico ed economico, gli ecologisti devono assicurarsi che il loro richiamo a ridurre la nostra impronta ecologica sia bilanciato da politiche in grado di assicurare la soddisfazione di ogni singolo individuo. Oggi devono andare oltre: non basta diagnosticare i sintomi occorre proporre una cura accettabile, cioè una alternativa valida. Ed il continuare a discutere al suo interno sicuramente non giova: le varie opinioni sono una forza ed una ricchezza per la sintonia con una realtà nuova e mutevole fatta di tecnologia e rapidi movimenti economici, sociali e scientifici.

Dunque, come afferma Joe Smith, “devono dimostrare che l’ingresso dell’ecologia in politica può essere una splendida notizia.”
Ma evidentemente non lo è ancora se da anni si discute intorno alle stesse tematiche e la crescita economica nuda e cruda rimane la preoccupazione prioritaria di governi e di politiche. Timorosi di anticipare le mosse della politica internazionale svantaggiando, così, l’industria nazionale in tempi di competitività sempre crescente e preoccupati per le sorti del loro futuro politico, i singoli governi non attiveranno autonomamente il cambiamento verso la sostenibilità.

La mancanza di una governance globale, di regole improntate su principi di sostenibilità non gioca a favore della rapida riconversione. E gli ultimi eventi sugli accordi (o non accordi) relativi ai cambiamenti climatici non danno certo previsioni positive.

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