[04/06/2007] Urbanistica

Il mare, la spiaggia, il pubblico e il privato

LIVORNO. In questo strano Paese, proprio mentre la Fee semina di bandiere blu le coste italiane e toscane, proprio mentre Legambiente e Tourig Club distribuiscono “vele” a iosa e mettono sul trono del mare più bello, servito e pulito Capalbio, Castiglion della Pescaia e l’isola del Giglio, scoppia il caso spiagge.

Basta una mareggiata a mettere in evidenza tutta la fragilità dei nostri arenili, da Viareggio a Grosseto, e gli operatori balneari chiedono interventi pubblici immediati per salvare concessioni private, file di ombrelloni a pagamento e posti di lavoro, mentre i Verdi stampano e distribuiscono a livello nazionale un “manuale di autodifesa del bagnante” contro il mare a pagamento e per il libero transito e sosta sulla battigia.

Al Sole che ride risponde piccato Riccardo Borgo, presidente del Sindacato italiano balneari (Sib) Confcommercio che associa circa 10 mila stabilimenti: «basta con la demagogia sull’uso delle aree demaniali in concessione e basta con il tentativo di sottoporci ad un vero e proprio linciaggio dove, attraverso la strumentalizzazione di canoni, accessi e tariffe, si tende a dare un’immagine fortemente negativa di un’intera categoria».

Per il Sib il problema non sussiste quasi nell’Adriatico, mentre in altre regioni «è stato affrontato e risolto dalle stesse Amministrazioni mediante i Piani di utilizzo regionali e comunali, che si rivelano dei veri e propri regolamenti volti a disciplinare l’uso delle aree demaniali, ai quali la stessa legge finanziaria 2007 assegna il compito di dare attuazione a due principi generali: individuare un rapporto equilibrato tra le aree date in concessione ai privati e le spiagge libere, garantire all’utente la possibilità di accedere con facilità al mare».

Borgo dice di condividere entrambi gli obiettivi: «per raggiungere il primo occorre avere spiagge libere adeguate e rese idonee alla balneazione dai comuni così da rappresentare una vera alternativa allo stabilimento balneare, sarà poi il turista-bagnante a scegliere in base alle proprie esigenze, aspettative e disponibilità. Sul secondo le Regioni e i comuni sono già intervenuti o lo faranno a breve, predisponendo veri e propri piani organici sui varchi o gli accessi, facendosi carico di individuare soluzioni che siano in grado di contemperare il diritto soggettivo del libero uso del mare e quello, ugualmente importante, di consentire alle imprese turistiche che esercitano la loro attività sulle aree demaniali, (stabilimenti balneari, alberghi, villaggi turistici, campeggi), di poterlo fare nelle condizioni migliori. Le nostre sono aziende che devono produrre servizi turistici e, al tempo stesso, fare economia, produrre sviluppo, reddito e creare occupazione, assicurando il pieno soddisfacimento dei pubblici interessi attraverso l’offerta dei servizi di spiaggia. Al fine di svolgere tale attività lo Stato ci ha affidato importanti aree di sua proprietà e, da alcuni anni e proprio per rendere più incisivo e moderno il nostro lavoro, ci ha riconosciuto per legge il ruolo di impresa turistica. Come ogni impresa anche le nostre hanno bisogno delle condizioni necessarie per offrire nelle spiagge sicurezza, pulizia, qualità delle attrezzature, alto livello dei servizi».

Poi Borgo attacca il “manuale di autodifesa del bagnante”: «ma da chi dovrebbero mai difendersi i bagnanti che rispettano le regole? Non certo dai concessionari demaniali. La speranza è che il manuale indichi diritti reali e non immaginati. Se così sarà coloro che frequentano le spiagge italiane si renderanno conto che nulla è cambiato. Se invece il manuale conterrà invenzioni, e dal tenore della presentazione temo sarà così, l’estate si trasformerà in una continua discussione tra chi vanta diritti inesistenti e chi non può e non vuole riconoscerli a tutela del proprio lavoro, dei diritti dei clienti/turisti, in definitiva del turismo balneare, con la speranza che questa estate tutto ciò non si trasformi in problemi di ordine pubblico».

Al Sib ha risposto immediatamente il capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli: «E’ singolare ed assurdo che in Italia chi chiede il rispetto delle leggi sia definito demagogico o addirittura autore di un linciaggio. Noi Verdi chiediamo che sia rispettata la norma che sancisce la libera fruibilità dell’accesso alla battigia. In Italia abbiamo subito un grave processo di cementificazione delle coste che non ha paragoni, a causa del quale i cittadini sono stati sempre più costretti a pagare biglietti di ingresso: trasformare il diritto al mare in una tassa non é accettabile, se ne devono rendere conto i gestori degli stabilimenti ma ancor prima i Comuni e le autorità che rilasciano le concessioni. La norma contenuta in finanziaria garantisce ai cittadini l’esercizio di un diritto – afferma Bonelli - e siamo altresì d’accordo con il ministro Bianchi, quando osserva che sulla battigia non possono essere sistemati ombrelloni e sedie, ma é ovvio che la limitazione riguarda le strutture ingombranti, non certo la possibilità di stendere indumenti o l’asciugamano».

Ma al di là della evidente (e consentita, come sottolineano i balneari) privatizzazione di gran parte delle spiagge, il problema ci pare un altro: non si rischia di litigare su una sottile linea di sabbia che, più che libera o privata, sta diventando sempre più esigua ed a volte inesistente? E soprattutto, quanto costa a tutti i cittadini l’ormai continuo ripascimento di un bene pubblico, la spiaggia, che viene in parte concesso ai privati e che i cittadini pagano nuovamente per poterne fruire? E quanto sono costate le opere, pubbliche, privatizzate e private, che causano l’erosione delle spiagge?

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