[01/06/2007] Energia

Geotermia, Basosi: «Servirebbe una public company»

LIVORNO. Si riaccende la protesta dei comitati contro la geotermia sull’Amiata, che adesso hanno trovato anche l’appoggio di Asor Rosa, già capo del coordinamento dei comitati toscani. Il tema è noto: la geotermia non sarebbe energia pulita, rinnovabile e sicura, secondo i comitati amiatini. Molte le sostanze inquinanti, come arsenico, mercurio, boro, radon, idrogeno solforato, antimonio e anidride carbonica e pochi e inefficaci gli interventi messi in atto dall’Enel per mitigare gli impatti.

E a poco servono ormai i dati confortanti di Arpat sulla presenza di inquinanti entro i limiti consentiti e il fatto che si stiano concretizzando i primi progetti di compensazione ambientale per il territorio, ovvero il teleriscaldamento nel comune di Santa Fiora, e lo sfruttamento del calore per le aziende florovivaistiche di Piancastagnaio. La sfiducia in Enel è tale che i comitati dell’Amiata non vogliono più sentir parlare di sfruttamento di energia geotermica.

Ma la geotermia rappresenta pur sempre oltre un quarto del fabbisogno regionale di energia elettrica e se è vero che non è a impatto zero è comunque da annoverarsi tra le fonti energetiche rinnovabili, e in una fase come questa a cui a tutti è richiesto di fare la propria parte, per mantenere gli impegni di Kyoto e quelli previsti a livello Europa, risulta difficile rinunciare ad una fonte energetica come questa. Che tra l’altro per le caratteristiche geologiche, oltre alla Toscana potrebbe svilupparsi anche nel Lazio e in Sardegna.

Come trovare un punto di equilibrio? Ne abbiamo parlato con Riccardo Basosi (Nella foto), professore ordinario di Chimica fisica presso l’Università degli studi di Siena.

Basosi, dovremo rinunciare alla geotermia?
«Partiamo da alcune considerazioni. Primo: la geotermia pur essendo una fonte rinnovabile non è pulita. Secondo: l’Enel ha fatto errori grossolani, come impianti dove poteva tranquillamente forare sottovento e ha fatto esattamente l’opposto. Terzo: non si è mai provveduto – come da altre parti- a prevedere interventi di ambientalizzazione, ma anzi sull’Amiata quello che è fatto sono danni. Quindi adesso la situazione è chiaramente difficile e parlare di sviluppo della geotermia in quel contesto in cui si è sviluppata con questi criteri l’attività dell’Enel, c’è chiaramente il rischio di essere presi a pesci in faccia».

Quindi la geotermia sull’Amiata non si può fare più?
«Credo che sia necessario gestire questa sfiducia, costringendo l’Enel ad un tavolo per eliminare gli elementi di contenzioso – che sono tanti anche in altre situazioni toscane- a partire dagli impegni che più volte sono stati presi dall’azienda ma mai mantenuti».

Ad esempio?
«Ad esempio aumentare e qualificare l’occupazione locale, quando invece i tecnici sono sempre stati reclutati per lo più fuori; dare valore alla risorsa in loco, fare una analisi molto seria del contenuto di informazione sul soprasuolo, visto che la falda di sfruttamento è la stessa».

Ma l’Enel ha sempre detto invece che le falde sono diverse.
«Essendoci una situazione geologica in evoluzione ci sono dei meccanismi di comunicazione nella stessa falda. Quindi questa è una situazione che va valutata seriamente».

E per ridurre gli impatti dei gas che si sviluppano?
«Esistono tecnologie per abbattere gli impatti. Anche se c’è un problema dei metalli pesanti come l’arsenico e l’antimonio che sono specifici della geotermia, e che comunque, pagando i costi relativi, possono essere eliminati dall’ambiente».

Lei parlava anche di sfruttamento del calore in loco.
«Ammettendo una piccola perdita nella produzione dell’energia elettrica si avrebbe la possibilità di sfruttare il calore per servizi a livello locale. Questo rientra nel fattore compensazioni. Così come non è detto che la geotermia si debba sviluppare per forza sull’Amiata. Nel primo piano energetico regionale, al quale ho collaborato, si evidenzia la presenza di 38 pozzi ancora utilizzabili e molti sono nella zona di Pomarance, dove magari vi sono condizioni più favorevoli per sviluppare la risorsa».

Ma potrebbero essere anche aziende diverse dall’Enel a sfruttare la geotermia?
«L’Enel ha assicurata la concessione virtualmente presente in Toscana. E ha anche la tecnologia. Quello che potrebbe essere fatto è una public company, in cui l’ingresso dei comuni e dei cittadini potrebbe garantire un controllo diretto della situazione».

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