[31/05/2007] Aria

La terra chiama, l´industria comincia a rispondere

LIVORNO. Il business verde cresce. Secondo le previsioni della compagnia assicurativa Allianz (Sole 24Ore di oggi), il valore del mercato europeo delle energie alternative passerà da 230 miliardi a 900 entro il 2030. Qualcuno potrebbe già obiettare solo sull’accostamento delle due parole, business appunto, e verde, ma intanto questo appare come l’unica alternativa attuale al business tout court e un qualcosa di più di un semplice tentativo di riorientamento del mercato verso la sostenibilità. Un riorientamento che potrebbe anche significare nuovi posti di lavoro. Almeno nei paesi sviluppati, ma non solo.

Le tecnologie ambientali infatti, stanno prendendo sempre più piede e secondo lo studio della società di consulenza tedesca Roland Berger, raddoppieranno la loro crescita mondiale – da 1000 miliardi a 2200 – entro il 2020. Con tutto quello che ne consegue in termini appunto di occupazione e opportunità di ricerca.

Non è un caso se il Sole24Ore oggi ha ‘vestito’ di verde il suo inserto settimanale Nova. Ventidue pagine sul cosa si può fare: concentrasi sulla ricerca scientifica; riorganizzare città e campagne; incentivare il controllo delle emissioni con meccanismi di mercato; imparare ad adattarsi ai mutamenti climatici; cambiare gli stili di vita; modificare i metodi di produzione; coltivare una mentalità globale. Sette indicazioni con un titolo esplicativo a tutta pagina: La terra chiama, è tempo di rispondere. E la risposta non può non arrivare anche dall’industria. Per non dire soprattutto, almeno dal punto di vista tecnologico.

Come sostiene Eileen Claussen , presidente del Pew Center on Global Climate Change, l’industria «è la soluzione, non il problema». Specificando che, in riferimento soprattutto al global warming, «le imprese multinazionali chiedono meccanismi chiari per mettere un tetto alle emissioni serra. Le imprese già sanno di dover ridurre le emissioni; hanno già le tecnologie per farlo, e vogliono investire in quelle future».

In assenza di una governance mondiale per affrontare globalmente l’emergenza clima, l’Europa continua a fare da apripista e già guarda al post-Kyoto sperando di poter coinvolgere quei paesi che non hanno sottoscritto il protocollo. In primis gli Usa. Il G8 in corso non sta dando i risultati sperati e appare più che probabile che gli eventuali passi avanti con gli Stati Unisti si potranno fare solo con un presidente (speriamo già dal prossimo) più illuminato di Bush. E in questo senso è di buon auspicio che la presidente della Camera a stelle e strisce Nancy Pelosi (Avvenire di oggi pagina 15) affermi che «le iniziative dell’Europa sul clima sono un modello da seguire, una base di discussione per arrivare tutti insieme ad un accordo che consenta di fare un passo avanti».

La situazione, quindi, pur nella sua drammaticità, appare chiara. Il global warming e il rapporto Stern hanno fatto scattare qualcosa nella mente degli imprenditori, che ora cercando di adeguarsi. Il mercato è nelle condizioni di essere riorientato verso la sostenibilità, anche se ancora siamo all’inizio. Tante questioni non sono ancora neppure tematizzate, come quella dei flussi di materia e – in larga parte – anche dell’innovazione di processo. Che non è solo il risparmio energetico.

Molta strada dunque c’è ancora da fare e ha ragione Tennis Meadows (Nova) a ricordare che «se non si cambiamo le politiche di crescita, una crisi ci sarà». Specificando che «popolazione e industria non possono avanzare all’infinito, dovranno stabilizzarsi. E più ora corrono, più brusca sarà la battuta d’arresto».

La complessità della questione appare quindi in tutta la sua evidenza e in questa fase più che mai è necessario diffidare da chi si alza e crede di aver trovato la pietra filosofale con la quale si risolvono tutti i problemi. La strada verso un’economia alternativa e sostenibile è ancora lunga, ma qualcosa si sta muovendo e i segnali arrivano con una incoraggiante costanza.

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