[25/05/2007] Comunicati

Per un altro interesse generale: l´economia ecologica

LIVORNO. L´intervento che il Presidente Luca Di Montezemolo ha fatto ieri all´assemblea di Confindustria, ha scaturito molte reazioni da destra e da sinistra, in particolare per le critiche nei confronti della politica, che da più parti sono state lette come una sua probabile candidatura. Ma al di là di quelle che saranno le intenzioni di Montezemolo, che interessano poco alla linea editoriale del nostro giornale (e forse anche a gran parte del paese), la riflessione secondo noi è un´altra.

C´è un problema da più parti indicato e amplificato di crisi della politica, che sempre meno riesce ad individuare un progetto su cui cimentarsi e su cui tornare ad aggregare interessi comuni. C´è un problema di segmentazione sempre più evidente della società (plurindagato dal Censis e non solo), per il quale, non solo la politica in verità, ma tutti i soggetti collettivi trovano difficoltà a fare rappresentanza a partire dagli interessi di gruppo o dalla sommatoria di questi. Riformismo (oramai tutti, a destra come a sinistra si dicono riformisti) e radicalismo non riescono più a trovare il bandolo dell´interesse generale semplicemente perchè sul paradigma economico classico questo è, in questa fase storica, introvabile.

Eppure se si esce da quel paradigma, un "interesse generale" sul quale elaborare un progetto di società (e sul quale ridefinire destra e sinistra senza dimenticarsi di chi sta sotto e chi sta sopra) ci sarebbe: ovvero quello relativo alla riconversione ecologica dell´economia che punti alla sostenibilità delle attività dell´uomo su questo pianeta, che è l´unico che abbiamo e che rischia di essere compromesso in maniera irreversebile. E potrebbe essere assunto come tema di interesse generale, non fosse altro per i rapporti che da novembre a questa parte si sono succeduti sulla stampa e che indicano che o mettiamo un freno a questo tipo di sviluppo oppure tra pochi anni, non ci sarà più nemmeno da discutere su quale sia il modello migliore da scegliere.

Ne abbiamo parlato con Marcello Buiatti (Nela foto), professore ordinario di genetica presso l´Università di Firenze e presidente dell´associazione Ambiente e Lavoro.

Buiatti, non crede che in questa segmentazione della società che diventa segmentazione della politica e di qualsiasi rappresentanza, il tema della sostenibilità potrebbe essere quello attorno al quale si ridefinisce l´interesse generale?
"Parto da una cosa generalissima, nota agli ambientalisti e ai biologi ma non al pubblico comune. Qualsiasi sistema vivente per rispondere a problemi di cambiamenti del proprio habitat ha due armi fondamentali: la prima è la plasticità. Ma la plasticità senza condizioni di connessione fra gli elementi del sistema, non è sufficiente a permettere la risposta ai cambiamenti. Quindi servono plasticità e connessioni collettive per avere una risposta al cambiamento del contesto. Tanto è vero che quando si muore si torna ad essere polvere, ovvero frammenti staccati l´uno dall´altro. Questo vale per gli organismi ma anche per la società, che è fatta di organismi viventi. Quello che sta succedendo negli ultimi anni è che ci stiamo dimenticando di essere vivi, fatti di materia e di cosa vuol dire stare bene. Di fatti il termine ricchezza ha cambiato significato: prima significava il possesso di beni materiali, ora è essenzialmente inteso in termini monetari. L´88% della ricchezza - dice Sacks - è dato dagli scambi finanziari che non sono coperti dallo scambio di beni. Per scambiare sempre più moneta non importa che tu produca bene, che non vi sia coesione, che il sistema sanitario non funzioni ecc., lo puoi fare lo stesso. E lo scambio si fa individualmente, non è necessario essere una collettività, l´importante è avere i soldi: ed è un sintomo di questo l´aver assunto il Pil come unico indice di benessere. Mentre è sempre più evidente che il Pil aumenta grazie agli scambi monetari e non al benessere: quando c´è un terremoto il Pil si alza, in genere.

In una situazione di questo genere è abbastanza logico che ci sia una frammentazione, perché è il sistema che non fa altro che alimentarla. Non è necessario che tu abbia prodotti che servono ma che si vendono: così gli ogm che si inseriscono con il dumping, così con le scarpe griffate che rappresentando un simbolo, se non ce l´hai diventano un elemento di esclusione da un certo contesto ecc. E i servizi collettivi vengono sempre più colpiti pur di fare quattrini: il treno per esempio, è un servizio sempre più scadente ma dato che non ne puoi fare a meno lo prendi lo stesso, anche se aumenta il biglietto.

Tutto questo avviene con un forte abbassamento di coscienza individuale e collettiva dei problemi del mondo e della realtà del mondo a cui corrisponde uno scarsissimo investimento nella scuola e un altrettanto scarso investimento nella ricerca, nell´innovazione ecc. La competizione stessa ha cambiato significato: perché per essere competitivi non serve più avere roba migliore ma che si alzi il titolo. E per il titolo basta il progetto, non serve il prodotto e di nuovo il caso degli ogm è in questo senso emblematico. C´è quindi una grande frammentazione perché ognuno cerca di fare il suo ed è una situazione a livello mondiale non solo da noi, ma da noi il simbolo di questa frammentazione sono proprio le famose imprese. Che hanno avuto un solo momento di auge vera, negli anni 60 con il boom economico in cui si investiva invece alla rovescia rispetto ad ora. Le cose hanno cominciato a cambiare da quando si è passati dalla fase di produzione alla finanziarizzazione: si sono concentrate le banche ma non le imprese, tanto che possiamo parlare solo di due maggiori imprese nazionali che sono Fiat ed Eni. Adesso la capacità produttiva è bassa ed ha un contenuto do conoscenza basso. La competitività si rincorre abbassando i costi di produzione che vengono ridotti attraverso i salari con la precarizzazione. Il lavoro del precario non si basa sul contenuto di conoscenza, perchè non serve, l´unica cosa che interessa e che costi poco".

Ma secondo lei la riconversione ecologica dell´economia non potrebbe invertire questo circolo vizioso?
"A questo punto non è tanto che la trasformazione ecologica sia un rimedio ma che senza di questo non possiamo reagire al cambiamento. La trasformazione ecologica serve prima di tutto nei cervelli. Per contrastare il cambiamento climatico dobbiamo lavorare con la capacità vitale che ancora ci resta, ritornando ad uno schema di collettività e di integrazione delle azioni. Il fatto che a un tratto sia saltato fuori che Blair ha chiesto a Stern di fare un rapporto sui costi del non fare, ha avuto l´effetto di far spaventare tutti perché il problema è messo sottoforma di Pil. Il rapporto Stern è stato una sveglia e può avere quella funzione perché indica che la moneta circolerà meno se la base materiale non c´è più e ci ricorda che la materia la facciamo noi che siamo vivi e che quindi abbiamo bisogno della moneta collettiva che è il pianeta. Il rapporto Stern ha indicato che se non ci muoviamo cala il Pil, non che il pianeta va a rotoli. E il calcolo emerso dal recente rapporto dell´Ipcc indica che per evitare che la perdita del pil sia dell´ordine dell´1-2% è sufficiente investire adesso lo 0,12% di questo Pil. La nostra Confindustria ha detto che le risposte del Governo ai cambiamenti climatici sono un attacco alle imprese, ma soltanto in Italia l´impresa sembra non essere in grado di comprendere questi temi. E se ci si mettesse a fare i conti si realizzerebbe che investire ora significherebbe per il nostro paese non avere una perdita che significa sulla base di quei dati, 15 volte il Pil. Evidentemente non sanno neanche i conti, altrimenti capirebbero che per frenare la perdita del Pil bisogna cominciare a fare politiche integrate in cui ognuno dà un contributo e non chiede un contributo. E che è necessario fare scelte che portino ad integrare i vari pezzi e a ricomporre l´attuale frammentazione collettiva per poter individuare obiettivi di interesse generale".

Mi sembra però un pò pessimista.
"No non lo sono di natura. Dico che serve una strategia di attacco per riaffermare questi principi, per riportare al centro i temi della sostenibilità. Serve una strategia della qualità anziché della quantità, il risparmio dell´energia e delle risorse. Ma chi non si sta rendendo minimamente conto di questo è Confindustria. La politica tentenna ma questo suo tentennamento è il frutto e non la causa della frammentazione collettiva".

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