[23/05/2007] Consumo

Export cinese, quelli che le leggi non ce l´hanno e quelli che non le rispettano

LIVORNO. Non è una novità che si imputi alla Cina la scorrettezza commerciale e si invochi un maggior controllo su quanto dal paese del Dragone viene esportato in occidente. Oggi è da parte degli Usa, che nel dialogo economico e strategico con la Cina che si concluderà oggi, si chiedono - per voce di Hank Paulson segretario al Tesoro - maggiori garanzie sulla sicurezza alimentare e dei prodotti sanitari esportati.
La stretta americana viene dopo numerosi problemi di natura sanitaria messi in relazione con l’utilizzo di prodotti cinesi, da cui è scaturita una serie di controlli che ha portato – solo nell’ultimo mese - alla scoperta di 257 violazioni nell’import alimentari asiatico.

Ma quello che sta a cuore all’economia americana - forse più della salute - sembrerebbe il nodo commerciale tra i due paesi, reso impari dalle barriere verso l’export americano poste dal paese asiatico e dagli incentivi che invece vengono riconosciuti dalla Cina al proprio di export, su cui il governo ha dichiarato di voler intervenire con un livellamento.

Il problema dello straripare dei prodotti cinesi è subito anche a livello nazionale, e il presidente di Federlegno, intervenendo sulle iniziative americane, sottolinea che basterebbe far rispettare alla Cina le regole del Wto, ovvero il rispetto della proprietà intellettuale per frenare la tendenza alla copia, che è una caratteristica più volte imputata alla Cina, l’eliminazione dei sussidi all’export, e il rispetto delle regole in tema di sicurezza sanitaria, sia per la produzione alimentare che quella industriale in genere.
Che sono poi le regole minime per poter consentire scambi in un mercato globale. A patto però che vengano rispettate da tutti.

Perché è vero che nei paesi occidentali le condizioni e le regole di produzione industriale, soprattutto per quanto riguarda il settore alimentare, sono sicuramente più stringenti che non quelle vigenti in Cina o in altri paesi emergenti del sol levante. Anche se non è detto che vengano rispettate. Sarebbe stato infatti altrimenti impossibile che si verificassero, dopo vent’anni dallo scandalo del vino al metanolo, ancora morti per questo motivo, come è successo recentemente in Sicilia. Del resto l’Italia è il paese famoso per fare ottime leggi e non metterle in pratica. O per non controllare che quelle leggi vengano rispettate. O a fronte dei controlli e delle violazioni riscontrate, non prevedere o comminare sanzioni congrue al reato.
E non sempre le leggi sono fatte davvero a garanzia della salute dei cittadini, come nel caso dei residui dei pesticidi nel settore agricolo.

L’ultimo dossier di Legambiente ”Pesticidi nel piatto” mette bene in evidenza il fatto di come la normativa attuale vigili solo sulla quantità dei residui di pesticidi presenti come singola sostanza su uno stesso prodotto: con la conseguenza che si può ottenere l’assurdo - come riscontrato su una fragola analizzata in Sicilia - di avere ben otto residui contemporaneamente, ognuno entro i rispettivi limiti ammessi. Come è altrettanto assurdo in termini di garanzie sanitarie, che la quantità dei residui ammessi venga calcolata sulla base di una persona che pesa 70 chilogrammi, e non ad esempio su un bambino, quando si cerca di reindirizzare proprio l’alimentazione dei bambini, sempre più obesi, verso un maggior consumo di frutta e di verdura.

Ma secondo il dossier di Legambiente, che si basa sui dati rilevati da enti di controllo preposti ovvero le Asl o le Arpa, solo il 54% dei campioni di frutta risulta esente da contaminazioni chimiche, contro l’84% della verdura.
Dati che non convincono le confederazioni agricole che riportano il dato 2006 del ministero della Salute per cui l’88% dei prodotti è regolare e il 65,8% totalmente privo di residui. Evidentemente gli stessi dati si possono leggere in maniera diversa, dato che degli stessi dati si tratta. E questo è un altro aspetto del problema.

Regole comuni, controlli standardizzati sono assolutamente necessari per governare un mercato globale, secondo un criterio che non rispetti solo le regole del profitto ma anche quelle della salute dei cittadini e dei lavoratori e della salvaguardia ambientale. Ma è altrettanto necessario che il modo di interpretare e di quantificare i vari parametri, cerchi di rispondere a criteri condivisi ed omogenei, così da potersi prestare ad un confronto. Così come nei parametri presi a metro dello sviluppo di un paese oltre alla crescita economica è sempre più urgente inserire altri parametri che commisurino quella crescita anche al modo in cui questa è ottenuta.

Nel caso della Cina, ad esempio, farebbero probabilmente ridimensionare la percentuale a due cifre che caratterizza l’incremento del pil da qualche anno a questa parte.
Un tentativo in tal senso è stato fatto dalla fondazione Symbola, di cui è presidente Ermete Realacci, che da qualche anno ha dato mandato ad un comitato di esperti di varie discipline di studiare la formulazione di un indice che contenga al suo interno anche elementi di caratterizzazione in termini di qualità della crescita economica.

Si chiama Piq e i dati relativi al 2007, che verranno presentati ufficialmente sabato a Milano, mettono in evidenza che, a parte alcuni settori, nemmeno la metà del pil italiano è di qualità. Fatto 100 il pil del nostro paese, è infatti il 44,3 % che risponde all’area di qualità, in crescita rispetto a due anni fa, con il commercio che arriva a quasi il 50% (49,7), l’agricoltura al 46,1 seguita a ruota dalla metalmeccanica (45,5%) mentre il settore delle costruzioni si ferma al 40,4.

Percentuali costruite sulla base di un incrocio di cinque variabili indipendenti, che descrivono vari aspetti della qualità: ambiente e territorio, innovazione, risorse umane, posizionamento sul mercato e competitività. Per determinare l’area del piq è necessario che almeno tre dei requisiti siano presenti, mentre se si verificano tutte e cinque le accezioni si entra nell’area dell’eccellenza. Area che al momento, però, sembrerebbe attenere più all’aspettativa che alla realtà, anche se gli incrementi rilevati dimostrano che forse anche in Italia, si comincia a prendere in considerazione il tema dell’innovazione di qualità come elemento attraverso il quale orientare l’economia.

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