[21/05/2007] Comunicati

Gestione servizi a rete, trovato l´uovo di Colombo?

LIVORNO. In tema di servizi a rete la discussione da tempo verte tra i sostenitori della gestione esclusivamente pubblica e tra coloro che invece ritengono che il problema non sia tanto stabilire la forma societaria della gestione, quanto quella di garantire un servizio efficace efficiente ed economico al cittadino. Il problema potrebbe trovare una soluzione di mediazione grazie alla proposta fatta dalla Fondazione per la sussidiarietà e consegnata al ministro Linda Lanzillotta (Nella foto), che sta guidando la riforma dei servizi pubblici locali.

La proposta – che parte da modelli già attivi in altri paesi europei e non - prevede l’affidamento della gestione dei servizi pubblici a rete a fondazioni no profit, dove gli eventuali utili verrebbero reinvestiti o distribuiti tra i soci, non come dividendi ma come sconti tariffari. Le fondazioni avrebbero due funzioni fondamentali (che stanno alla base della discussione pubblico-privato): la proprietà delle reti e la titolarità delle decisioni sugli investimenti da fare per lo sviluppo e il rinnovo degli asset. E dal momento che si prevede che gli stakeholders siano rappresentati negli organismi dirigenti, ecco che si sarebbe risolto sia il problema della partecipazione sia quello delle decisioni sulle scelte “aziendali”, che a questo punto sarebbero condivise anche da chi quelle scelte le dovrebbe accettare (come cittadino) come gli aumenti tariffari. Inoltre il fatto che le reti siano in proprietà anziché in concessione, ridurrebbe il rischio economico e risponderebbe al principio che dato che sono un patrimonio di pubblica utilità è opportuno che rimangano sotto il controllo pubblico. Il finanziamento avverrebbe attraverso titoli di debito (obbligazioni quindi anziché azioni) a lungo termine.

Rispetto al disegno di legge Lanzillotta, rimarrebbe salvo anche il principio della gara, che resterebbe il confronto concorrenziale attraverso il quale affidare la gestione operativa dei servizi, così come non verrebbe preclusa la strada a partnership con altre imprese. I requisiti dovrebbero naturalmente essere quelli della garanzia di eccellenza e rimarrebbe comunque un controllo sull’operato.

La vera differenza starebbe infatti nella governance, attuata attraverso la partecipazione diretta dei cittadini-utenti, su cui sarebbe comunque necessario prevedere la trasparenza e la non commistione della politica. Come invece succede diffusamente ed è stato uno dei motivi della non corretta attuazione della legge Galli.

Insomma l’uovo di Colombo, che già ha dato i suoi risultati di efficacia a Detroit dove la gestione del servizio idrico, della depurazione delle acque e del sistema fognario, sono affidate ad un società no profit, che ha 2.300 dipendenti e che è al terzo posto nella classifica delle utilities degli Usa e conta quattro milioni di cittadini utenti, che hanno i loro rappresentanti nel consiglio di amministrazione. O come la società Glas Cymru in Galles, che ha raggiunto la leadership nel settore con 3 milioni di utenti. In comune queste società hanno il fatto di non essere a scopo di lucro o per azioni, ma società no profit in cui gli utili sono redistribuiti tra gli utenti sottoforma di sconti sulle tariffe (come nel caso della Glas Cymru gallese che ha effettuato uno sconto equivalente a 18 milioni di euro per i suoi clienti), o rinvestiti per migliorare il servizio. Entrambe le società sono finanziate attraverso titoli obbligazionari e i rappresentanti della società non percepiscono compensi finanziari per il loro incarico e non hanno interessi finanziari nell’impresa. Non è escluso, anzi è ampio, il ricorso ai fornitori privati scelti con gare d’appalto competitive, ma la qualità dei servizi è sempre sotto controllo e laddove è insufficiente, la società no profit è pronta a subentrare.

Facile a dirsi, ma non è detto che lo sia anche a farsi in un paese come l’Italia.

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