[21/05/2007] Comunicati

Solvay, innovazione di processo e sostenibilità: dunque si può!

LIVORNO. Innovazione di processo e maggiore sostenibilità ambientale. Sembrano queste le parole d’ordine che contraddistinguono le attività degli ultimi anni per lo stabilimento Solvay di Rosignano, e seppur solo in parte, per l’intero gruppo Solvay. «Per l’innovazione di processo abbiamo attivato investimenti per circa 100 milioni di cui solo il 20-25% finanziati da soggetti pubblici come l’Ue – ricorda il responsabile delle Relazioni esterne di Solvay Rosignano, Stefano Piccoli – e voglio specificare che con questi soldi non abbiamo aumentato al produttività neppure di un grammo».

Partiamo dal progetto più attuale: da alcuni giorni dallo stabilimento non esce più mercurio.
«Esattamente, si tratta del risultato di un accordo di programma firmato nel 2003, che ha come obiettivo generale proprio la riduzione complessiva dell’impatto ambientale dello stabilimento attraverso l’eliminazione totale del mercurio. Da una settimana non esce più mercurio, anche se la nuova produzione con le celle a membrana va testata alcuni mesi per cui saremo a pieno servizio dopo la pausa di agosto. Contemporaneamente provvederemo alla messa in sicurezza della sala celle, che sarà bonificata e smaltite in modo corretto».

Solvay farà la stessa cosa anche negli altri suoi stabilimenti?
«In Italia è prevista la stessa cosa per Bussi, in Abruzzo, stiamo aspettando solo l’ok dell’Unione europea. Per il resto nell’immediato non sono previste altre riconversioni, anche se in caso di impianti nuovi sono obbligatorie le celle a membrana. In ogni caso è bene sottolineare che anche a Rosignano, la quantità di mercurio che usciva dallo stabilimento era 200 volte inferiore ai limiti di legge, quindi il nostro è stato un intervento non obbligato dalla legge, ma frutto di una grande sensibilità da parte del gruppo. E sottolineo che siamo gli unici in Europa ad averlo fatto».

Se però lo avete fatto evidentemente qualcosa, anche da parte del pubblico, deve aver funzionato. La leva fiscale in questo caso per esempio è servita per incentivare un’impresa a riorientare in modo più sostenibile la propria produzione.
«Quello che dice è molto pertinente: nel caso di Rosignano possiamo dire che abbiamo conciliato il mercato e la sostenibilità grazie all’utilizzo della leva fiscale. Però è il mercato che stabilisce la competitività di un impianto e di un’azienda, quindi i costi di processo più alti sono giustificati da un bacino quasi esclusivista che viene servito dallo stabilimento toscano, ovvero quello dell’Europa Mediterranea. Un intervento del genere in altri luoghi avrebbe avuto bisogno di margini economici diversi».

Passiamo alla distribuzione. Rispetto a qualche anno fa la Solvay utilizza in modo più massiccio il trasporto su rotaia.
«Attualmente il 40% del prodotto finito, cioè 450mila tonnellate di carbonato di calcio che escono da Rosignano, viene distribuito via treno. Questa iniziativa è frutto di lunghi anni di contrattazioni con le Rete ferroviaria italiana, ma al di là degli accordi economici, è stata resa effettivamente praticabile grazie alla nascita di centri intermodali che ci consento di arrivare col treno a pochissimi chilometri di distanza dai nostri clienti, che sono soprattutto vetrerie. Alla Saint Gobain il treno arriva addirittura direttamente dentro lo stabilimento, ma ormai anche il bicarbonato diretto in Austria viaggia esclusivamente via treno».

In termini ambientali (ma anche sociali) i vantaggi del treno sono risaputi. Dal punto di vista economico?
«Le ferrovie non regalano nulla, ma in prospettiva i vantaggi economici sono molteplici, non tanto sul costo effettivo del trasporto, quanto per esempio per quanto riguarda la regolarità delle consegne, rispetto al camion sempre in balia di incidenti, code e imprevisti vari. In un anno noi abbiamo calcolato di percorre in treno 10milioni di km che altrimenti sarebbero stati su strada, risparmiando 3,5 milioni di litri di carburante. In futuro contiamo di incrementare ulteriormente la quota su rotaia, sia grazie alla costruzione di nuovi centri intermodali, che ovviamente non dipende da noi, sia attraverso l’estensione del servizio ad altre tipologie di prodotti che fanno grandi volumi di traffico».

Lo stabilimento Solvay è sempre stato accusato di divorare una grande quantità di acqua, nonostante progetti, come Aretusa, che consente di ridurre i prelievi. Com’è la situazione complessiva da questo punto di vista?
«Aretusa è a regime da un anno, si tratta di un impianto di depurazione che permette di riutilizzare l’acqua che esce dai depuratori comunali di Rosignano e Cecina. Sono in sostanza 4 milioni di metri cubi l’anno che vengono risparmiati».

Fatto 100 il consumo di acqua dello stabilimento, come possiamo ripartirlo?
«Dunque il 90% dell’acqua che utilizziamo la preleviamo direttamente dal mare, mentre soltanto il 10% è acqua dolce. Di questa la maggior parte arriva dal bacino di Santa Luce, poi c’è la quota che oggi recuperiamo dai depuratori e poi c’è una percentuale residua di acqua di falda, è quella che viene utilizzata dalla miniera di salgemma. Però il progetto Idros per il quale aspettiamo ancora l’ok, punta proprio a sostituire i 2 milioni di metri cubi di acqua di falda, con acqua prelevata da nuovi bacini».

Entro il 2007 vi siete anche impegnati ad eliminare il 70% di solidi sospesi che sversate in mare.
«Esatto si tratta del carbonato di calcio inerte che è innocuo e che ha creato le famose spiagge bianche. Attualmente abbia già ridotto del 33% utilizzando l’acido cloridrico, ma entro fine anno raggiungeremo l’obiettivo, che è importante non tanto per questioni di salute, ma per l’ecosistema marino, per ricreare le praterie di posidonia. Il nostro impegno però non è solo quantitativo, il 30% di carbonato di calcio che continuerà a finire in mare è quello costituito da residui più grossi, che in accordo con l’amministrazione, potranno essere utili al fine del ripascimento».

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