[16/05/2007] Energia

Le bioenergie sono una minaccia per i popoli autoctoni e tribali

LIVORNO. L’apertura a New York della sesta sessione dell´Instance permanente sur les questions autochtones, dedicata quest’anno al problema dei territori e delle risorse naturali, ha fatto presente l’inquietudine per l’espansione delle piantagioni destinate alle produzione di combustibili “puliti” che spesso si realizza attraverso l’espulsione delle popolazioni autoctone dalle loro terre.
«In materia di energia – ha denunciato in una conferenza stampa la presidente dell´Instanza, Victoria Tauli-Corpuz (Nella foto) – è nuovamente nelle terre autoctone che si cercano le soluzioni», e si è detta molto preoccupata dal fatto che in Uganda, Filippine, Costa Rica, Messico ed Indonesia, le piantagioni si estendono con la giustificazione dell’espansione necessaria allo sviluppo dei combustibili “puliti”.

«Gli orientamenti per la lotta al riscaldamento climatico si richiamano all’espansione delle bioenergie, soprattutto olio di palma o zucchero, che fanno pesare una nuova minaccia sulle popolazioni autoctone – ha detto Tauli-Corpuz - La questione delle piantagioni di olio di palma è fondamentale perché in Indonesia o in Malesia, da dove arriva l’80% della produzione mondiale, sono gli autoctoni ad essere espulsi dalle loro terre. In Indonesia, queste espulsioni potrebbero riguardare più di 5 milioni di persone. Senza norme internazionali in materia, assisteremo a nuove espulsioni., a nuovi spostamenti di popolazione ed a nuovi conflitti su tutte questi problemi».

«La Fao, che spinge per le bionergie nella lotta al cambiamento climatico, è assalita dalle istanze dei popoli autoctoni» ha sottolineato Victoria Tauli-Corpuz, insistendo anche sulla necessità di studiare in parallelo l´impatto sull´avvenire dei popoli autoctoni dei prestiti bancari accordati per finanziare l’espansione di queste colture.

«Storicamente – ha sottolineato la presidente del forum Onu - , le questioni di proprietà fondiaria, di territori e di risorse naturali sono i problemi chiave degli autoctoni, che sono stati vittime di legge discriminatorie da parte di poteri colonizzatori»
La rappresentante danese Ida Nicolaisen, ha ricordato che in Borneo, 1,3 milioni di ettari di foresta sono già stati distrutti in tre soli anni per far spazio alle piantagioni. Questo sta producendo enormi movimenti di popolazioni rurali verso le città e riguarda soprattutto gli autoctoni, costretti a vivere in bidonvilles, privati delle loro terre e delle risorse naturali che contengono. Per esempio, in Cile l’80% degli indios autoctoni vivono ormai in città, ed è così sempre più difficile difendere le culture autoctone e tribali che sono sempre più in pericolo.

Alla riunione di New York partecipano 2.500 rappresentanti tribali e di popoli autoctoni che chiedono all’Onu di adottare la Dichiarazione sui diritti dei popoli autoctoni che trova resistenze soprattutto da parte di governi africani come quelli di Namibia, Botswana, Kenia e Nigeria, che propongono continui emendamenti, ponendo problemi che riguardano la definizione dei popoli autoctoni, del loro diritto all’autodeterminazione ed alla proprietà delle terre.

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