[08/05/2007] Urbanistica

Pazzagli: il paesaggio si tutela con la politica vera e democratica

LIVORNO. Prosegue il dibattito sulla tutela del paesaggio e in particolare sul chi abbia questo fondamentale compito. L’ultimo interevento è stato quello di Salvatore Settis su Repubblica che ha parlato del «cerchiobottismo "tutto allo Stato, tutto alle regioni"» che secondo lui «rispecchia un problema assai serio, quello del ruolo rispettivo di Stato, regioni ed enti locali rispetto al patrimonio culturale». Settis ha anche evidenziato nel suo articolo che sta nella parola “valorizzazione” la «porta di servizio attraverso la quale le regioni intendono impossessarsi della tutela, capovolgendo nei fatti l’art. 9 della Costituzione. Per poi magari sub-delegarla ai Comuni, con le conseguenze che già si vedono dappertutto sul martoriato paesaggio italiano (Monticchiello insegni)».

Il tema è già stato affrontato più volte da greenreport, in questa occasione abbiamo approfondito l’argomento con Rossano Pazzagli (Nella foto), esponente della Rete del Nuovo municipio.

Pazzagli, il dibattito sulla tutela del paesaggio si sta molto soffermando proprio sull´attribuzione della funzione di tutela. Da una parte si dice che spetta allo Stato, come scritto nella Costituzione, dall’altro si dice alle Regioni. Poi ci sono alcuni comitati che chiedono la massima partecipazione possibile alle decisioni dal basso e contemporaneamente l’intervento dal più alto livello possibile, ovvero lo Stato. Lei che ne pensa?

«Io penso che la verità non esista in questo caso. Bisogna sempre diffidare di chi ha le verità in tasca. Quello che c’è è un’emergenza paesaggio. E la domanda da farsi è: come si risponde? Con una riscoperta della politica vera e democratica. Il problema è chi decide davvero. Chi prende le decisioni. Serve un protagonismo delle comunità locali. Il problema è che c’è una difficoltà delle stesse comunità locali a resistere alle pressioni degli interessi forti. E’ dunque positiva la regolazione da parte dello Stato, che però non dovrebbe imporre regole sovraordinate ma aiutare le comunità locali a salvare il proprio paesaggio. Non bisogna togliere le competenze ai comuni, ma vanno aiutati perché spesso sono deboli. Soprattutto in una fase come questa in cui lo sviluppo turistico insidia il paesaggio».

Spesso però il dibattito si dipana sul cos’è bello e cos’è brutto. Lo stesso Pecoraro Scanio ha lanciato l’iniziativa ‘a caccia di ecomostri’ dicendo alla gente armatevi di macchina fotografica e immortalate le brutture da demolire. Ma come si fa a misurare una cosa così soggettiva?

«Il bello e il brutto sono concetti relativi. Non esiste bello e brutto, è una percezione che cambia. Quello che conta è non fare trasformazioni irreversibili. Mettere il cemento sulle colline significa non poter tornare indietro. Si consuma suolo, territorio. Invece non si può aggiungere sempre. E’ come se in una casa volessimo aggiungere continuamente mobili, alla fine ci troveremo fuori dalla casa perché non abbiamo più spazio. Bisogna avere la forza di riqualificare l’esistente. Non addizionare nuove volumetrie non c’è un incremento demografico tale che giustifichi questa azione. Le regole occorrono e Settis ha ragione a dire che è lo Stato che ha la tutela. Il concetto della Regione della conservazione attiva per me non sta in piedi: se è il varco per fare villaggi turistici per me non va bene. Le colline toscane hanno già strutture a sufficienza per esercitare la cultura e il turismo. Parallelamente a questo c’è poi da fare un percorso culturale. Discutere e confrontarci».

Di fronte allo scenario odierno nel quale i cambiamenti climatici incombono, c’è la necessità richiamata da tutti di un maggior utilizzo delle fonti rinnovabili. Come giudicherebbe il caso in cui si faccia un referendum – come è già successo in Toscana – sulla possibilità di realizzare un parco eolico e l’esito del voto risulti contrario all’impianto? Considera che la scelta sia giusta a priori perché è stata fatta attraverso uno strumento democratico come quello referendario?

«Innanzi tutto c’è da aggiungere una questione di scala: se le metto sul crinale al confine tra più comuni non è solo uno quello in grado di decidere e serve quindi un quadro di pianificazione regionale. I Comuni devono discutere evitando contrapposizioni ideologiche. Il referendum serve dal punto di vista della mobilitazione e delle conoscenza, ma non si può ridurre tutto a una contrapposizione e ad un sì o a un no. Un territorio non è assimilabile ad un sì o un no. Serve un lavoro culturale da fare sono anche attraverso i comitati. Le fonti rinnovabili per contrastare i cambiamenti climatici sono uno scenario che abbiamo di fronte però si parte sempre dal concetto di consumo crescente. Noi siamo favorevoli alle rinnovabili purché si stia attenti all’aspetto del loro inserimento nel territorio. Dove si può si fa, ma non risolve niente se prima non si fa qualcosa di concreto sul risparmio di energia».

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