[07/05/2007] Urbanistica

L´urbanista Tira spiega la sua idea di governo sostenibile del territorio

LIVORNO. «E’ corretto ragione sul "come" e sul "dove" fare un impianto eolico o fotovoltaico, ma sul "se" fino a un certo punto. Di fronte a grandi questioni come ad esempio il rispetto del protocollo di Kyoto una comunità locale non può dire me ne infischio». La pensa così Maurizio Tira, professore ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica all´università di Brescia, con il quale abbiamo affrontato e approfondito il tema “Sostenibilità e governo del territorio”, sul quale lo stesso professore ha presentato un progetto durante il convegno “Qualità della vita” organizzato dalla Fondazione Cogeme onlus.

Professore, può spiegarci come nasce e in che cosa consiste il suo progetto?
«La legge 12 della Regione Lombardia inserisce, tra i principi ispiratori, quello della sostenibilità inteso come ‘garanzia di uguale possibilità di crescita del benessere dei cittadini e di salvaguardia dei diritti delle future generazioni’. La Fondazione Cogeme, che nasce da una società di servizi tecnologici urbani – acqua, fognatura e energia – mi ha proposto di fare un percorso con le amministrazioni comunali della Franciacorta per fare una sorta di progetto pilota relativo alla Valutazione ambientale strategica, che la Lombardia ha reso obbligatoria per i nuovi piani di governo del territorio (Pgt). In particolare il problema è che la Regione non ha ancora fornito i parametri per la Vas dei piani, soprattutto per i Comuni medio-piccoli. La Franciacorta è stata scelta perché ha caratteristiche ambientali omogenee e quindi si prestava meglio per la sperimentazione».

C’è dunque il problema di trovare degli indicatori che misurino la sostenibilità e che siano accettati e condivisi da tutti. Come accade per gli indicatori dell’economia.
«Mancano sperimentazioni complete di un percorso di costruzione di valutazione ambientale dei piani. Bisogna identificare gli obiettivi che sussistono su quel territorio ed è una cosa difficile. Io ho già lavorato per Agenda 21 sulla mobilità e sono riuscito a trovare un set di indicatori. Qui mancano e uno degli obiettivi è quello di costruirli dal basso. Nel caso di trasformazioni commisurate a bisogni socio-economici, serve definire criteri che misurando il costo dell’urbanizzazione, utilizzino metodi di compensazione preventiva delle trasformazioni sullo stato di naturalità dei terreni e per gli effetti indotti (ad esempio la mobilità generata dagli attrattori)».

Che cosa intende per ‘costruirli dal basso’?
«Che le indicazioni emergano dagli amministratori. Siano loro a dire quali sono le cose da misurare e quindi condividerli con loro e poi identificare azioni possibili per ridurre impatti. Fare dunque una valutazioni sulla trasformazione dei territori. Dove si trasforma territorio, inoltre, l’idea è quella di introdurre compensazioni. L’esempio può essere quello di Bolzano che ha introdotto la compensazione ambientale preventiva. Ovvero impostare la compensazione ambientale preventiva delle trasformazioni dell’uso dei suoli e degli incentivi urbanistici per l’applicazione di tecniche di edilizia sostenibile. Proporremo analisi ambientali e incontri e proposte su questi temi. Illustreremo il progetto in ragione per farlo diventare un caso studio».

Quando si parla di valutazione strategiche ambientali e di impatto ambientale e di indicatori ci si scontra però con un’altra valutazione che è assai soggettiva: cos’è bello e cos’è brutto. Come si fa a misurare questa differenza? E ancora: in Toscana negli ultimi tempi si è scelta la via referendaria per prendere una decisione sul fare o no un impianto eolico. Nei due ultimi casi la risposta è stata affermativa, ma se non lo fosse stata sarebbe stato giusto non farli? Il fatto che la scelta sia fatta dai cittadini è dunque garanzia di sostenibilità?
«Nelle direttive ci sono già tutti e due gli aspetti ovvero la coerenza interna e quella esterna: ci sono obiettivi posti a livello più alto, penso ad esempio alla direttiva habitat, e che poi vanno declinati a livello locale. Ci sono piani sovraordinati e le comunità locali non possono dire: a noi non ci interessa niente. Poi c’è il problema che spesso tutte queste belle cose rimangono sulla carta o magari non sono coerenti con quanto si decide a livello inferiore, ma questo è un altro problema».

Resta il fatto di come si possa stabilire, anche a livello di Via e Vas, cosa sia bello e cosa no.
«E’ vero. Se si chiede un parere di impatto visivo sul paesaggio questo è decisamente il passaggio più debole della valutazione. Io credo comunque che sia corretto ragionare sul come e sul dove, ma sul se fino a un certo punto. Certe cose non sono più derogabili. Penso al protocollo di Kyoto di fronte al quale una comunità locale non può dire me ne infischio. Tradurre questo in azioni certo non è facile. C’è molta strada da fare e questo progetto, come ho detto, tenta e propone la strada di partire dal basso, ovvero dalla rete delle amministrazioni locali. Dalle quali vengono fuori quali sono le difficoltà».

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