[30/04/2007] Monitor di Enrico Falqui

Il fascino discreto della decrescita

ROMA. Turku è una delle tre maggiori città finlandesi, popolata oggi da circa 170.000 abitanti, divenuta celebre negli anni ’60 perché una piccola élite della sua classe dirigente si riunì nell’imponente fortezza che domina la città, per pianificare lo sviluppo della città, mettendo in gioco una serie di ambiziose opere urbane coerenti con i canoni dell’epoca della modernità e della crescita. Il progetto fu preceduto da un’appassionante discussione sul tema della crescita o della decrescita del modello di sviluppo economico, anticipando di qualche anno un analogo dibattito che si sarebbe sviluppato in Europa, al momento della pubblicazione del celebre Rapporto sui limiti della crescita redatto dal prestigioso “ team” del Mit (Massachussets institut of technology,1972).

I sostenitori della teoria della "decrescita" del prodotto interno lordo (Pil) si mobilitarono contro gli ambiziosi progetti di trasformazione urbana della città finlandese, definendo quel dibattito come una sindrome patologica, da cui il nome di “malattia di Turku”.
Nel corso degli anni ’80 e’90 la contestazione a quei progetti di trasformazione urbana si professionalizzò e tutta la pianificazione urbana di Turku venne rimessa in discussione, contrapponendo alle ambiziose opere di trasformazione urbana, il solo recupero dei vecchi quartieri e la manutenzione della struttura urbana esistente, invocando una strategia di conservazione contrapposta a una strategia ( anche se sbagliata) di trasformazione della città.

Nel ricordare questi eventi, lontani nella geografia e nel tempo, mi preme sottolineare come il tema della crescita o della decrescita dello sviluppo economico, sia quasi sempre stato associato impropriamente al tema dell’espansione o non espansione della città.
Questo cortocircuito lessicale e logico si è anche sovrapposto ad un’analoga impropria congiunzione tra modernizzazione o modernità dello sviluppo urbano e, più recentemente nel tempo, tra sviluppo eco-compatibile o sostenibile della città.

In realtà, Aurelio Peccei, divulgando attraverso il Club di Roma le conclusioni del rapporto sui limiti della crescita economica mondiale non ha mai teorizzato una strategia di decrescita del PIL fondata sull’auto-produzione dei beni, compensando la diminuzione del reddito pro capite con la minore necessità di acquistare merci.
Neppure Benjamin , di cui si ricorda il celebre monito “ tirare il freno dello sviluppo “,ha mai teorizzato che ideologia della crescita e ideologia del progresso coincidano.

Lo stesso Touraine, infine, riconosce che l’idea di modernità è strettamente associata a quella di razionalizzazione e che l’attuale «crisi della modernità» rappresenta a ben vedere «... l’ingresso in una modernità più completa che ha rotto tutti gli ormeggi che ancora la trattenevano alla riva dell’ordine naturale, divino o storico delle cose». E’ vero invece che l’idea occidentale di modernità si confonde con un meccanismo spontaneo e necessario di modernizzazione delle cose e della città.

Perseguire l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile della città significa certamente introdurre degli elementi di modernità nello statuto dei luoghi di essa; la «modernizzazione» della città è, invece, un’idea distorta dalla concezione della società occidentale dei consumi, fondata sull’idea che distruggendo tutti i beni che sono vecchi e riducendo il tempo di vita degli stessi, così come espandendo e rinnovando costantemente le forme e le strutture della città, si produce innovazione, si aumenta l’occupazione e si fa crescere il PIL.

Un pensiero ambientalista, colto e responsabile, esige l’introduzione della “modernità” nei progetti e nelle azioni di trasformazione della città, mentre respinge, sapendo distinguere, le false utopie della modernizzazione dello sviluppo urbano.
Così come , la cultura ambientalista deve respingere l’idea che “la teoria della decrescita” costituisca la vera alternativa alla critica della teoria della crescita illimitata dell’economia e della città.
Il cambio di paradigma è costituito dalla pianificazione di uno sviluppo sostenibile che superi il determinismo della mano invisibile del mercato e le certezze fallaci dell’economia classica.

In Germania, in Danimarca, in Olanda ci sono architetti, imprenditori edili, professionisti dei materiali e delle tecnologie edilizie che costruiscono edifici con consumi energetici minori di quelli che si costruiscono in Italia, mantenendo una temperatura interna di 20 gradi con un consumo inferiore a 15kwh al metro quadro l’anno. Si tratta di un decimo di quello previsto dalla legge italiana (legge 10/91); quindi se attraverso una sua revisione, i Comuni italiani adottassero un piano nazionale di ristrutturazione degli edifici esistenti per assimilarli agli standards vigenti in Germania, si potrebbe risparmiare circa il 55-65% delle fonti fossili attualmente utilizzate per il riscaldamento in Italia. Ciò equivarrebbe a un risparmio di circa un terzo delle nostre importazioni petrolifere, con i cui proventi sarebbe totalmente ripagato il finanziamento, trasferito dallo Stato ai Comuni, della riconversione energetica degli edifici residenziali , commerciali e dei servizi.

Questo esempio ci fa capire che l’introduzione di piani e progetti di sviluppo sostenibile nelle nostre città (la ristrutturazione energetica di tutti gli insediamenti residenziali nelle nostre città è solo uno di questi) riduce l’impronta ecologica della città, migliorando notevolmente la qualità dell’ambiente urbano e la salute di tutti i suoi abitanti. Lo sviluppo sostenibile introduce anche elementi di modernità nella città (perché stimola la tecnologia delle energie rinnovabili, dei materiali appropriati per l’edilizia, del design edilizio e dell’architettura degli edifici, della ricerca applicata alla bio-architettura), favorisce la crescita di un’economia fondata su tre parametri (il lavoro, il capitale prodotto dall’uomo e il capitale naturale), come Herman Daly suggeriva alla vigilia della Conferenza di Rio de Janeiro (1992).

Lo sviluppo sostenibile accetta anche le sfide per la trasformazione strategica della città ,come si è riusciti a fare a Friburgo , dove l’università ricopre storicamente un ruolo centrale, così come l’ospedale ( uno dei più avanzati di Europa) e il turismo che la preferisce costantemente per l’elevata qualità dell’ambiente urbano. Ben 32 progetti realizzati in questa città di confine hanno saputo trasformare lo sviluppo urbano in modo strategico , aumentando contemporaneamente la qualità ambientale, il risparmio energetico e la manutenzione delle piazze e dei quartieri storici.

Anche a Duisburg, antica città universitaria, il progetto integrato di rinnovamento urbano della Marxlogh nel nord della città ( alla fine degli anni 90) ha saputo incrementare lo sviluppo dell città e dei suoi quartieri senza alcuna crescita dello sprawl urbano .
In questi ultimi dieci anni, le città universitarie in Europa sono diventate uno spazio privilegiato di investimenti , molte tra esse ( Sheffield, Norwich, Montpellier, Friburgo, Grenoble, Heidelberg ) hanno saputo utilizzare un mix di fondi pubblici e privati per realizzare trasformazioni importanti della città secondo i criteri di uno sviluppo sostenibile, che le ha rese moderne e attraenti per la loro qualità dell’ambiente urbano.

Anche Turku, città universitaria, 40 anni dopo l’evento prima ricordato, ha raccolto questa sfida,portando a termine una strategia di trasformazione urbana sostenibile ( non eco-compatibile !) sconfiggendo “ la malattia” di cui era diventata ingenerosamente vessillo in tutta Europa.

In Italia, invece questa malattia continua a mietere vittime nell’ambito di una certa cultura cosiddetta “ progressista” ma in realtà anti-moderna, “radicale” perché ideologica e antagonista per principio, capace di reagire solo quando qualcuno le affibbia l’ingeneroso aggettivo di “ conservatrice”, poiché , come hanno sperimentato quasi due generazioni di abitanti di Turku, nessuna forza politica o culturale potrà mai impedire quello che Prigogine formulò a proposito delle oscillazioni che producono l’inevitabile trasformazione di tutte le strutture dissipative : la Città è una di queste.
La sfida affascinante è proprio l’interpretazione di questa domanda di trasformazione che la città manifesta ai suoi abitanti e la progettazione di un coerente sistema di sviluppo sostenibile , che migliorando la qualità urbana lasci alle future generazioni “ il capitale naturale” e la neghentropia necessaria alle future domande di trasformazione della città.

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