[23/04/2007] Recensioni

La recensione. Il benevolo disordine della vita di Marcello Buiatti

A intervalli ormai quasi regolari, torna a farsi vivo il dibattito tra le teorie che basano il loro fondamento sull’origine della specie, formulata da Darwin, e il creazionismo che si basa invece su un disegno superiore, che non arriva ormai a negare l’evoluzione come processo in sè, ma sicuramente a ridimensionarlo.

Per quasi un secolo l´evoluzionismo è stato bandito dalle scienze sociali, e questo ha origine nel fatto che in diverse occasioni della storia recente, si è cercato di piegare il darwinismo a politiche di comodo, per poter giustificare anche alcune aberrazioni. E in questo libro si ripercorrono in maniera magistrale le pagine e i contributi che hanno portato alla teoria eugenetica di Galton sino agli abominevoli deliri del nazzismo, che seguì ampiamente anche i consigli di Konrad Lorenz (il grande etologo cui si deve la teoria dell’imprinting).

Ma c’è un nesso tra i fenomeni che caratterizzano l´evoluzione biologica e le diverse forme dell´evoluzione delle culture umane, senza per questo dover necessariamente appiattire le une sulle altre, per varie esigenze del momento. E attorno a questo nesso, ruota il libro di Marcello Buitatti, che già nel titolo esprime l’importanza di tenere legato il binomio tra la diversità biologica e quella socio-culturale.

«Senza diversità si muore» dice Buiatti. Quindi la diversità come condizione imprescindibile per essere vivi.
E´ questo il messaggio principale del libro, un mirabile elogio scientifico della differenza, un percorso attraverso la storia della scienza e l’ attualità della vita quotidiana . Scritto con un linguaggio rigorosamente scientifico, senza per questo perdere mai l’immediatezza e la chiarezza delle espressioni. Un libro che riflette appieno la grande capacità divulgativa di Marcello Buiatti e la sua straordinaria capacità di legare le leggi che regolano gli organismi viventi con quelle che regolano la struttura della società. E che, come egli stesso ammette, tradisce una parzialità con cui affronta questi temi, che deriva dal fatto che a lui «la vita umana e non umana e le loro infinite diversità sono sempre infinitamente piaciute».

La strategia adottata nel libro, per affrontare le tesi portate da culture tradizionali e impulsi naturali, teorie scientifiche più o meno attendibili e soprattutto immensi interessi economici, è quello di tenere sempre fortemente collegati due aspetti: da una parte i dati provenienti dalle discipline scientifiche (biologia, neurobiologia, psicologia) e dall’altra le componenti filosofiche, sociologiche ed economiche del pensiero dominante.
Sul primo argomento si snodano i primi tre capitoli che riguardano alcune delle proprietà caratteristiche dello stato vivente della materia. Dove vengono spiegate in dettaglio le diverse funzioni delle diversità strutturali, rispettivamente nei geni codificanti per la costruzione delle proteine e, nei geni fino a pochi anni considerati inutili, ma che invece stanno assumendo, sempre più, aspetti importanti nei meccanismi di regolazione. Da questo assunto Buiatti discende che «il Dna codificante è altamente ambiguo, in quanto ogni sua parte può, almeno negli eucarioti (organismi viventi più evoluti, ndr) dare origine a più proteine, ognuna con una sua diversa funzione. Da questo punto di vista il dogma centrale della biologia molecolare è ormai tutto meno che un dogma».

Per affrontare il secondo discorso (quello delle componenti filosofiche, sociologiche ed economiche) parte con un capitolo (che si intitola puri e bastardi) dedicato a confutare due opposti determinismi: quello genetico e quello ambientale. Se di gran lunga più diffuso, radicato e funzionale al sistema economico produttivo dominante è stato e continua ad essere, il determinismo genetico, non meno pericoloso, nelle forme estreme che ha anche assunto in un recente passato (Buiatti riferisce in particolare al regime stalinista) si è rivelato il determinismo ambientale.
Nei successivi capitoli, la diversità umana è osservata sia dal punto di vista della genetica delle popolazioni sia da quello della diversità acquisita durante la vita, grazie al vantaggio che gli esseri umani hanno, rispetto agli altri primati, di possedere un cervello organizzato secondo sistemi complessi (reti, circuiti, sinapsi) con la capacità di leggere la complessità.

E in un momento in cui tutto sta cambiando con una incredibile accelerazione rispetto al passato, tanto da poter parlare «a buon diritto di sesta estinzione» la riflessione che fa l’autore è che sembra essersi perso nel meccanismo evolutivo della specie umana, l’obiettivo primario di vivere meglio e più a lungo possibile in armonia con il resto della vita sul pianeta. «Sempre di più pare che il fine del nostro correre sempre più rapido e affannoso stia nella corsa stessa e sempre di meno nella ricerca di una vita migliore» dice Buiatti.

E in questa corsa si consuma la «continua e rapida perdita di specie e di interi ecosistemi ma anche delle culture, delle agricolture, delle stesse lingue parlate, in altre parole del patrimonio immenso di variabilità, invenzione e intelligenze del mondo umano quello vivo e reale. Ma il fatto è che la maggioranza di questo mondo è anche quella che ha minor voce in capitolo, perché dominata dalla minoranza ricca e aggressiva». E si va «accentuando la contraddizione fra una umanità sempre più virtualizzata e ricca, impegnata nella costruzione di una nuova Babele presuntuosa, omogenea e fragile, di cui si sta perdendo il senso, e la natura materiale della nostra specie e delle altre che vivono sul pianeta»

La differenza, quindi, non è solo un carattere fondante della vita. E la crescita della differenza non è solo una tendenza nel mondo biologico. La diversità è un valore ecologico forte da tutelare. Un valore talmente forte da costituire uno dei parametri con cui misurare la sostenibilità dello sviluppo. Se una data attività dell’uomo sia essa sociale o economica è tale da far aumentare la diversità (culturale o biologica) allora va nel verso della sostenibilità. Se al contrario siamo di fronte ad una attività che porta alla diminuzione di questa diversità, allora, è molto probabile che vada nella direzione opposta. Perché non contribuisce a quel benevolo disordine che è la vita.

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