[23/04/2007] Monitor di Enrico Falqui

Brodoacre City

L’uomo moderno vive in una continua accelerazione, in un ambito tecnologico che ne cambia completamente la vita. La città ne vorrebbe essere il parametro, ma più semplicemente ne evidenzia le contraddizioni. Lo sviluppo della città muove dal concetto che esse hanno il valore di rendere più facile, attiva e interessante la vita dei propri abitanti, con il trasferimento di valori economici, di culture, di linguaggi, di informazioni.

Barthes spiega nel 1967 che la città è una lingua “...noi parliamo la nostra città...semplicemente abitandola, percorrendola, guardandola.” Il fatto è che una lingua per essere comprensibile ha bisogno di un ordine grammaticale , di regole condivise dalla comunità che usa individualmente e collettivamente quel sistema di comunicazione.

Fin dai tempi di Tommaso Moro e di Campanella, la città ha rappresentato, per i suoi abitanti, un naturale bisogno di soddisfacimento di vivere in un sistema ordinato che si contrapponeva all’incertezza di sopravvivere nel mondo della Natura o nel caos tribale di lotte per il dominio del territorio.

La metropoli diffusa, la nascente città globale (nuova forma della città costruita sotto l’influenza dei processi di globalizzazione economica e finanziaria), invece, aumenta l’entropia urbana producendo un assetto disordinato della struttura e della comunità urbana, aumentando il grado di frammentazione dell’ambiente naturale e del paesaggio, il loro degrado o anche la loro scomparsa.
Questo processo di incremento dell’entropia urbana porta con sé anche nuove paure e nuove malarie urbane, creando nei suoi abitanti un senso di incertezza e di insicurezza verso il "caos urbano" ed una diffusa percezione di degrado e marginalizzazione sociale.

La città come forma e come entità corporea è stata sacrificata all’illusione della libertà individuale offerta dalla società dei consumi. Ma, se per fare la spesa, accompagnare i nostri figli a scuola, andare a teatro o in palestra dobbiamo usare l’automobile quanto siamo davvero liberi e felici?

Se la libertà degli individui che vivono nella comunità oltrepassa il confine privato delle mie libertà individuali, la conseguente domanda di un ordine urbano e di un Autorità che ne disegna i confini e i poteri, annulla progressivamente la convinzione di appartenere alla stessa comunità e la città vissuta dai suoi abitanti perde la forza di essere un linguaggio comune.

Lloyd Wright ,definendo il suo modello ideale di città, diceva: «L’uomo veramente libero dovrebbe in genere fare quel che veramente desidera fare quando ha desiderio di farlo. Questo è il solo legato valido che abbiamo ricevuto dal passato. Solo sotto un’autentica democrazia possiamo proteggere e persino comprendere questo legato». E a quel «legato» Wright dette il nome di Brodoacre City, affinché illustrando ai cittadini le funzioni e il ruolo di questa nuova città, tutti potessero condividere lo stesso linguaggio di città.

Uno degli errori strutturali dell’urbanistica contemporanea è quella di essersi impoverita a mera tecnica di governo e gestione, senza tenere conto dell’andamento di tutti quei fattori che creano una domanda sociale condivisa dello sviluppo urbano e delle necessarie trasformazioni delle funzioni d’uso degli spazi urbani e dei progetti con cui riempire i vuoti creati dalla pianificazione di queste nuove funzioni della città. Prima di discutere delle regole della "governance" della Nuova Città bisognerebbe discutere del ruolo che vogliamo attribuire ad essa nel contesto di un’economia globalizzata che mette in concorrenza tra loro le città.

La sociologa Haddock ci spiega con lucidità in un suo recente saggio (La città contemporanea) l’influenza dell’economia globalizzata sugli scenari di sviluppo delle città e delle metropoli. «...l’economia globale non abbraccia tutti i Paesi e le regioni; è un’economia che seleziona nel mondo intero, specifici punti ed aree collegandoli al sistema globale, mentre nel contempo scollega altri punti e altre aree da questo sistema. E’ un’economia che prende la forma di un "arcipelago", dove emergono come "isole" le aree forti economicamente, che sono connesse tra di loro in reti di relazioni immateriali, in flussi energetici transnazionali, in un "mare" che sommerge le aree perdenti, allontanandole sempre di più dalle nuove possibilità di sviluppo».

Ad esempio per le imprese che concorrono a livello internazionale è cruciale localizzare le proprie direzioni generali nei centri urbani maggiori o nelle metropoli dove è concentrata la produzione di conoscenza di cui hanno bisogno. Questo fattore rappresenta un vero e proprio "capitale" di conoscenza e risorse umane di elevata qualificazione, che risulta decisivo nei meccanismi di concorrenza globale al pari dei bassi costi della manodopera, dell’energia, delle materie prime.

In Italia, è deprimente osservare come, nell’urbanistica italiana (salvo alcune lucide ma rare espressioni), “il dibattito ufficiale” sul futuro delle città riguardi ancora il tema della stagnazione o del declino delle aree urbane dove sono avvenuti imponenti processi di de-industrializzazione o de-localizzazione degli insediamenti oppure le prospettive di recupero dei mille meravigliosi centri urbani minori, oggi in parziale o totale posizione di marginalità, oppure modeste o miopi operazioni di rinnovo e riqualificazione urbana, tralasciando ovviamente di menzionare le numerosissime iniziative speculative o i sempre più numerosi "affari edilizi" privi di qualsiasi logica urbanistica (anche se fanno aumentare il PIL nazionale!!).

Accanto a questo dibattito ufficiale se ne svolge un altro, altrettanto incapace di dare risposte concrete alla domanda di trasformazione delle città, indotta dai grandi processi di globalizzazione economica internazionale.
Si tratta di un dibattito che coinvolge una parte del pensiero ambientalista e del pensiero della Sinistra italiana (cui recentemente si sono aggiunti anche molte reti di comitati civici, di forum sociali e di élites intellettuali girotondine).

Quali sono le architravi di questo dibattito "non ufficiale"?
La prima è costituita dalla convinzione che poiché il modello di sviluppo da adottare per la Nuova Città è la “decrescita”, le trasformazioni consentite agli scenari di sviluppo della città sono quelli prodotti dal recupero e dal riuso dei contenitori urbani della città. La seconda è invece costituita dalla convinzione ideologica che l’eco-sviluppo della città (inteso come modello di sviluppo sostenibile) è un ossimoro e che il suo perseguimento rappresenti un progetto funzionale all’espansione urbana, sovrapponendo il concetto di sviluppo a quello della crescita.

La terza, infine, è costituita dalla contrapposizione dello “sviluppo locale” allo sviluppo globale, in una concezione totalmente immateriale dell’economia (piccolo è bello) e in una visione semi-autarchica delle relazioni tra città ed economia.
Ce ne è abbastanza per aprire un vero e rigoroso dibattito sull’argomento, al di fuori degli schemi ideologici e delle contrapposizioni di principio, perché dall’esito di questo confronto a livello mondiale dipende la più importante sfida ecologica di questo secolo, ovvero la salvaguardia degli equilibri ecologici e della vita su questo Pianeta.

Il dibattito sullo sviluppo sostenibile dell’economia e delle nostre città non è un ossimoro, non è un vessillo ideologico, non è un burocratico affare di governo; rappresenta il futuro per le nostre nuove generazioni e per il nostro Pianeta. Vale la pena aprire questo dibattito anche sulle pagine di questo quotidiano telematico: noi lo faremo.

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