[18/04/2007] Comunicati

I piccoli stati insulari chiedono meccanismi per finanziare la lotta al global warming

LIVORNO. Anche alcuni piccoli Stati insulari hanno partecipato alla discussione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu su cambiamento climatico e sicurezza. Due temi che li riguardano da molto vicino, visto che si tratta spesso dei territori più esposti e dove i segni delle mutazioni planetarie sono più evidenti, ma anche di Stati senza un reale potere politico, nani in mezzo a giganti come Stati Uniti, Russia, Cina. Per questo hanno convocato una conferenza stampa a New York per illustrare la loro situazione e chiedere misure immediate.

«Se il dibattito sulla questione del riscaldamento climatico é dietro di noi – ha detto Angus Friday, a capo dell’Alleanza dei piccoli Stati insulari - il problema di sapere come fargli fronte è lontano da essere risolto». Per il rappresentante all’Onu dell’isola caraibica di Grenada, stiamo assistendo ad un allargamento del concetto di «sicurezza», Angus Friday, interrogato sui motivi che hanno addirittura portato ad un Consiglio di Sicurezza sui cambiamenti climatici, ha sottolineato che la decisione si basa su motivi di sicurezza e che il dibattito da ancora più pubblicità al problema del cambiamento climatico.

«Per noi, non sarà mai troppo rapido muoversi per lottare contro questo fenomeno» ha detto Friday ed ha chiesto immediatamente «la creazione immediata di un meccanismo concreto per finanziare soprattutto le iniziative per ricorrere alle energie rinnovabili». Le isole dovranno assolutamente trovare risorse energetiche a buon mercato se vogliono essere competitive in campo industriale.

Il rappresentante delle Isole Salomone ha detto che il 30% della spesa del suo Paese è destinato alle energie fossili, per coprire solo il 20% della popolazione. Angus Friday ha sostenuto la necessità di «nuovo partenariato» con i membri dell´Assemblea generale dell’Onu che punti ad attenuare l’impatto dei cambiamenti climatici nei piccoli Stati insulari, per permettere alle isole di essere in grado di contribuire all’economia mondiale. «Nei Caraibi, la ferocia degli uragani é legata al riscaldamento del Pianeta – ha ricordato - Per esempi, durante il 2004, la compagnia di assicurazioni Lloyds ha stimato che Grenada, che si situa all’estremo sud dell’arcipelago dei Caraibi, era al di sotto della zona degli uragani. Questo significava che gli yachts che venivano ad ancorarsi durante la stagione degli uragani erano coperti. Dopo l’uragano Ivan nel 2004, e poi Emily nel 2005, questa classificazione è stata modificata. Dunque, senza parlare delle perdite dirette dovute agli uragani, ecco una industria nascente come quella dello yachting che é minacciata».

Le isole più basse sul livello del mare, come le Bahamas, stanno per essere direttamente minacciate dall’innalzamento delle acque, ma le risorse economiche di questi piccoli Stati sono ugualmente minacciate per lo sbiancamento dei coralli che provoca il deperimento delle barriere coralline ed innesca ripercussioni preoccupanti per la pesca, la migrazione dei pesci ed il turismo.

«Anche la biodiversità è minacciata. Certi vaccini contro l’Aids sono messi a punto a partire da organismi che provengono dal fondo dei mari – ha spiegato Friday - in ragione della potenza dei loro enzimi. E’ essenziale proteggere questo patrimonio genetico». Infine, è stato sottolineata la questione dei rifugiati ambientali si proporrà in modo acuto, in particolare nel Pacifico dove le popolazioni di alcune piccole isole dovranno migrare nei Paesi vicini.

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