[11/04/2007] Urbanistica

Toscana: le leggi i piani e le aree protette

PISA. Ora che il Pit è stato approvato, che altri provvedimenti di natura programmatoria a livello provinciale sono stati concordati in un recente incontro con Claudio Martini e taluni aspetti relativi alla tutela del paesaggio chiariti e meglio precisati anche nel rapporto con il ministero interessato, forse è giunto il momento di arricchire – anzi, meglio - completare il quadro mettendo mano ad un aggiornamento di alcuni comparti strategici nell’ambito di quel piano di indirizzo territoriale che per qualcuno somiglia troppo ad una ‘predica’ da apparire troppo poco concreto rispetto alle molte criticità ambientali di cui parla lo stesso raa (piano regionale di azione ambientale) di cui per la verità dopo la pubblicazione non si sono avute più tante notizie. Intendo riferirmi in particolare al ruolo dei parchi e delle aree protette e ai bacini idrografici e in generale al problema dei fiumi. Prendiamo questi ultimi.

Non sono stato il solo a rilevare a suo tempo che il quarantesimo della alluvione di Firenze - che grosso modo coincise con l’entrata in vigore dei decreti delegati riguardanti la legge 183 i cui effetti sulla gestione dei bacini idrografici sono stati pesantissimi - non ha neppure in riferimento all’Arno stimolato una riflessione sui problemi di una sua protezione del tipo di quella accennata, per la verità in termini piuttosto generici ma non equivocabili, anche nel Praa.
Ma non c’è solo l’Arno. E’ lungo l’elenco dei fiumi e dei corsi d’acqua toscani o anche toscani – come il Magra - che presentano una fortissima criticità: dal Cecina all’Era di cui si è tornati a parlare anche recentemente per iniziativa di alcune province e comuni. Fiumi significa non solo quantità d’acqua possibilmente pulita, con un ricca fauna ittica e flora e al riparo da gestioni costose e rovinose come spesso è avvenuto e avviene per mancanza appunto di quella pianificazione di bacino integrata con la costa e le aree protette e non solo i Sic e gli Zps metà dei quali anche in toscana è dislocata all’interno di parchi e aree protette.
Sono aspetti che per ritrovarli concretamente non basta certo riferirsi a quelle definizioni onnicomprensive che forse abbondano un troppo anche nel Pit, tipo ‘città di città’ etc. o le pur corrette ‘reddito e non rendita’. Qui bisogna conoscere, mettere in relazione aspetti diversi (anche normativi) non circoscrivibili a dimensioni settoriali come ancora troppo spesso avviene.
Nessuna regione può infatti essere indifferente al ‘destino’ della 183 proprio in rapporto ad una seria pianificazione ambientale a livello regionale e interregionale.

Passiamo ora all’altra questione peraltro strettamente connessa a quella dei bacini e dei fiumi; i parchi e le aree protette.
Le cose appena dette valgono infatti - e su una scala assai più ampia - per le maggiori connessioni ‘trasversali’ (per dirla con la Corte costituzionale) anche per i parchi e le aree protette. Ossia quelle specificità - ma è meglio dire ‘specialità’- anche sotto il profilo normativo che giocano un ruolo determinante e niente affatto marginale in quella pianificazione regionale non riconducibile unicamente alla legislazione ordinaria. Questo è un nodo delicato e importantissimo che la proposta di legge Lupi della passata legislatura fortunatamente decaduta neppure affrontava e che deve invece essere adeguatamente risolto.

Specie in una regione come la toscana che da un trentennio ha imboccato la strada dei parchi e delle aree protette anche con sue peculiari scelte rispetto al quadro nazionale, nessuno può dimenticare che tra le motivazioni con le quali nella fase iniziale ci si oppose alla istituzione dei parchi vi fu appunto quella che i piani regolatori comunali avrebbero dovuto fare i conti e misurarsi con una pianificazione di scala più ampia e ambientalmente più impegnativa. Ecco perché risulta sorprendente che le arroventate polemiche di questi mesi abbiano lasciato fuori, di fatto ignorato, anche nelle sedi più autorevoli questo profilo della questione programmatoria. Ma è anche per questo che va recuperato un aspetto di portata strategica non soltanto regionale. E bisogna farlo partendo dalla legge regionale sulle aree protette che ha ormai superato il traguardo dei dieci anni e che ha bisogno come più volte si è convenuto anche da parte dell’assessorato regionale all’ambiente per verificarne gli aspetti che hanno funzionato e anche quelli che abbisognano di qualche aggiustamento manutentorio.

Sicuramente va rivisto il ruolo delle Anpil che non sono certamente da abrogare ma che vanno meglio regolamentate nei loro compiti perché non diventino espedienti più o meno furbeschi per ottenere qualche finanziamento aggiuntivo o per dar vita a situazioni abnormi tipo Val d’Orcia, di cui tutto si può dire tranne che si sia in presenza di una ‘vera’ area protetta funzionante. Il tutto va visto in un contesto che presenta non poche novità a partire dal fatto che sia pure a fatica ai tre parchi regionali si sono affiancati tre parchi nazionali e molte riserve oltre a numerosi siti comunitari. C’è insomma una situazione in movimento che richiede però aggiustamenti che consentano in primo luogo una ‘evoluzione’ delle aree protette a partire da quelle locali che possono giocare un ruolo importante nella costruzione di una sistema regionale solo se non rimarranno frammenti quando appunto non espedienti. Questione particolarmente delicata all’Arcipelago dove forte sembra la tentazione di fare dell’area marina uno spezzatino.

Questo richiederà non solo da parte delle regioni ma anche delle province toscane un maggiore impegno che al momento non è di tutte.
Sia consentito alla conclusione di questa nota di richiamare l’attenzione su un fatto singolare e cioè che nel dibattito specialmente di questi ultimissimi tempi si è più volte sottolineato anche da parte di Martini e di Conti che il territorio toscano va tutelato ma non imbalsamato o musealizzato. Come non ricordare che molti anni fa tra gli argomenti preferiti dagli antiparco vi era quello che l’area protetta con i suoi vincoli imbalsamava il territorio per farne poco più d’un museo. Gli anni per fortuna hanno dimostrato nei fatti e quindi concretamente anche in toscana che i parchi possono davvero essere delle opportunità e non dei musei per vecchietti arzilli. Ecco, per gestire bene e non musealizzare la toscana e soprattutto per non rovinarla servono e molto anche le aree protette.
Più di quanto risulta da dibattito e anche dei documenti di questi mesi.

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